Da una parte il sentore che abbracciare l’innovazione tecnologica e tutti i servizi che questa mette a disposizione di medici e pazienti voglia dire compiere un salto di qualità epocale, dall’altra la naturale resistenza davanti a ciò che non si conosce a fondo e su cui è ancora difficile scommettere.
Vantaggi contro costi, possibilità di miglioramento dei servizi per il cittadino contro effettiva fruibilità da parte dell’utente finale, i nodi da sciogliere non sono pochi. «Esiste una strada da percorrere perché le tecnologie dimostrino di essere un vero supporto strategico per una sanità sostenibile?» è la domanda che si è posto Claudio Caccia, presidente di Aisis, associazione italiana sistemi informativi in sanità, in occasione della tavola rotonda sul tema tenutasi al recente Information Technology Forum di Milano. «È necessario ragionare in termini concreti per sciogliere dubbi e perplessità. Un’analisi di tal genere non può prescindere da considerazioni di genere economico, che oggi descrivono un rapporto tra costi e benefici ancora incerto. Anche le sperimentazioni su piattaforme di integrazione hanno restituito risultati incerti e costi alti. Ebbene, la domanda che oggi è necessario porsi, quindi, è se l’integrazione delle nuove tecnologie in ambiente sanitario possono dare risultati concreti, oppure se si tratta solo di sperimentazioni che finiranno per essere abbandonate».
Il progresso avanza e il Paese si confronta con un panorama sanitario spezzato ed eterogeneo, diretto per lo più dalle singole Regioni, che devono tuttavia far fronte a problemi comuni. «Gli ospedali che vogliano abbracciare il progresso integrando nuove tecnologie come la cartella clinica elettronica integrata con il Fascicolo sanitario elettronico non possono sottrarsi da considerazioni e valutazioni come quelle relative al “valore” reale di queste iniziative per i pazienti, affrontando in tale contesto le necessarie cautele relative alla privacy e alla sicurezza dei dati».
Un momento di riflessione al quale sono chiamati tutti gli attori del settore, che non possono evitare di ripensare agli obiettivi che i progetti di innovazione pongono e che devono trovare soddisfazione, aprendo nuove considerazione sulla loro effettiva efficacia. «È importante chiedersi se oggi i servizi offerti ai cittadini sono effettivamente utili e, soprattutto, efficaci. Molto spesso, infatti, gli ospedali non soddisfano i requisiti minimi per permettere agli utenti di utilizzare gli strumenti messi a loro disposizione. Non sono poche, infatti, le aziende ospedaliere che non hanno ancora abilitato servizi di pagamento e prenotazione online delle visite mediche. La sanità italiana vive una fase di spaccatura, divisa tra il desiderio di progresso e la mancanza degli strumenti necessari per i medici e i cittadini». Uno dei quesiti che si fa, quindi, largo in questo momento è: la cartella clinica elettronica è un prere- quisito per lo sviluppo, o costituisce in sé un primo livello di progresso?
Una domanda che trova risposta nelle parole di Giovanni Delgrossi, responsabile dei sistemi informativi dell’azienda ospedaliera di Desio e Vimercate, che ha fatto luce su cosa voglia dire investire nel progresso. «Più che in termini monetari, l’interesse per l’integrazione di tecnologie innovative comporta un investimento sulle risorse umane. Oggi il settore sanitario può usufruire di diverse soluzioni It, con possibilità di integrare il mobile, ma anche nuove infrastrutture, software e cosi via».
Delgrossi ha poi puntualizzato come a partire dal 2006 l’azienda ospedaliera di Desio e Vimercate abbia iniziato il suo processo di sviluppo, scommettendo soprattutto sul mobile, che ha offerto nuove e indispensabili opportunità di miglioramento per il lavoro dei medici e per i servizi ai cittadini.
«Integrare i servizi messi a disposizione dall’innovazione tecnologica all’interno del nostro ospedale è stato un processo che, partito dall’interno, e quindi nella formazione del personale, ha tratto i suoi benefici all’esterno, agevolando significativamente il rapporto dei pazienti con la struttura».
Un’evoluzione, quindi, che ha richiesto una generale riorganizzazione del lavoro e che, partita dalle sale operatorie, ha raggiunto immediatamente l’utente finale. «In questo senso la cartella clinica ha costituito un primo risultato tangibile di interoperabilità» ha continuato il responsabile dei sistemi informativi evidenziando, tuttavia, come la sfida costante sia garantire la sicurezza dei dati dei pazienti nel processo di dematerializzazione.
Anche Piermauro Sala, responsabile dei sistemi informativi dell’azienda ospedaliera San Carlo Borromeo di Milano, mette il punto sull’importanza di un’educazione alla tecnologia del personale medico. «Sono ancora pochi i medici di base che utilizzano puntualmente le nuove tecnologie. Uno dei problemi che ne consegue è la difficile comunicazione, che finisce per compromettere la relazione con il paziente. Ecco perchè premessa indispensabile affinchè poi avvenga l’integrazione delle tecnologie è che tutti i medici siano in grado di sfruttare tutti i servizi. La cartella clinica elettronica è senza dubbio un punto di svolta fondamentale e necessaria per la modernizzazione delle infrastrutture e per l’assistenza al paziente. Ma è davvero indispensabile avere a disposizione in rete le informazioni cliniche dei pazienti, o, invece, oggi, sono altri gli strumenti indispensabili per fare medicina nel territorio?»
Abbraccia le vedute di Delgrossi, Antonio Fumagalli, responsabile progetti e servizi, u.s.c. Sistemi informativi e organizzativi dell’azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, che ha infatti spiegato come all’interno della struttura siano già utilizza¬ti fascicoli sanitari elettronici conservati in chiavette usb.
«Bisogna, certamente, trovare il miglior com¬promesso affinchè gli investimenti siano con¬venienti e diano risultati soddisfacenti, cer¬cando di capire se queste siano in grado di dare risultati soddisfacenti non solo all’interno delle strutture sanitarie, ma soprattutto fuori. Anche la nostra struttura, infatti, ha investito molto sia in termini software e hardware che nella riorganizzazione del lavoro».
Ha trovato, quindi, risposta il quesito posto da Claudio Caccia. Alla luce delle testimonianze dei responsabili dei sistemi informativi, infatti, emerge come ciò di cui il settore necessita per sciogliere i nodi che bloccano il libero flusso dell’innovazione, sia principalmente una revisione delle logiche organizzative per la realizzazione di un vero e proprio organismo in grado di utilizzarle e sfruttarle al meglio.
In questo senso, quindi, la dematerializzazione dei dati rappresenta un fondamentale presupposto per importanti sviluppi, ancora tutti da coniugare.
In un panorama che descrive un settore in fase di assestamento, impegnato spesso in valutazioni e considerazioni più che sull’effettivo riscontro dei vantaggi guadagnati grazie ai nuovi sistemi tecnologici, a spiccare è un crescente interesse per le soluzioni cloud. È, infatti, in crescita il numero degli istituti che si affidano alla nuvola, con un interessante diminuzione della percentuale dei timori di rischi espressi dalle aziende relativi a privacy e sicurezza.
«Privacy e sicurezza, ma anche continuità operativa, sono problematiche distintive del settore sanitario con cui tutti gli istituti devono fare costantemente i conti al fine di garantire servizi in totale sicurezza agli utenti. Alla luce di problematiche cosi stringenti, l’adozione del cloud può costituire un rischio? In che modo tale implementazione può impattare sulla gestione dell’intero organismo?», torna a domandarsi Caccia, questa volta a proposito delle nuove opportunità offerte dalla nuvola.
Si dimostra scettico Delgrossi, che dopo aver affidato a terzi il data center della struttura è tornato sulle proprie orme.
«A causa di un problema tecnico, è stato impossibile accedere per 3 giorni ai dati conservati nel data center, con tutti i problemi che questo ha comportato in termini di servizi offerti ai clienti ma anche ai medici. È stato dunque deciso di riportare in casa tutto il data center e di avvalersi del supporto di esperti esterni» ha spiegato il manager, che ha fatto luce su quanto sia importante accedere in modo immediato a tutti i dati, in qualunque momento, sottolineando l’esigenza di totale autonomia di intervento sui sistemi. «Un’autonomia totale rappresenta per noi un requisito fondamentale, soprattutto quando si parla di dati dei pazienti, e per questo protetti da privacy. Per il momento non ripongo molta fiducia in soluzioni cloud pubbliche, non mi convince né in termini economici né per quanto riguarda lo scoglio privacy», ha concluso sul tema Delgrossi, a cui ha fatto eco Pier Mauro Sala, che ha, infatti, dichiarato di essere ancora in fase di valutazione circa la possibilità di affidarsi a un cloud privato o meno.
«Una decisione importante, le cui valutazioni devono vertere soprattutto intorno al punto fermo rappresentato dall’assoluta necessità di garantire la continuità del servizio – ha poi continuato Antonio Fumagalli completando gli interventi dei suoi interlocutori – Ecco perchè anche noi abbiamo optato per mantenere il data center in casa, almeno per il momento.
Nonostante si faccia uso dei servizi in cloud nella vita privata, riteniamo ancora rischioso per un’azienda ospedaliera affidare completamente la struttura a terzi.
Il data center è il cuore dell’azienda, e come tale deve essere gestito e presidiato sempre. Inoltre deve rispondere a caratteristiche di autonomia. Nonostante ciò stiamo iniziando ad aprirci, affidandoci a servizi di assistenza di professionisti esterni. Sì, quindi, a un cloud misto, con un’ accurata e ponderata analisi su quanto è strettamente necessario tenere, e quanto è, invece, possibile affidare all’esterno».
Un interesse ancora frammentato da indecisioni e da alcune residui di organizzazione del lavoro tradizionale, che tuttavia lascia terreno a nuove discussioni e valutazioni. Uno spazio di dialogo è aperto, e le aziende sembrano iniziare a valutare soluzioni di cloud misto.