Nel 2017 il mercato dei Big Data Analytics in Italia continua la sua crescita, segnando un aumento del 22% e raggiungendo un valore complessivo di 1,1 miliardi di euro.
Lo dicono i risultati della ricerca dell'Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano, che ha coinvolto attraverso una survey oltre 1.100 CIO, responsabili IT e c-level di altre funzioni di medie e grandi organizzazioni e analizzato oltre 1.100 player dell’offerta tramite interviste dirette o fonti secondarie.
Tra i dati di fatto emersi, la constatazione che le grandi imprese si dividono l’87% della spesa complessiva, mentre le Pmi si fermano a una quota del 13%, anche se i loro investimenti aumentano del 18% rispetto allo scorso anno.
Sempre in termini di spesa, il 42% di quella per gli Analytics è dedicata ai software, il 33% ai servizi e il 25% alle infrastrutture abilitanti.
Aziende italiane verso una strategia data driven
In termini di opportunità, invece, nel 2017, insieme al mercato, è cresciuta anche la consapevolezza delle aziende italiane rispetto alle opportunità offerte: il 43% dei CIO italiani vede la Business Intelligence, i Big Data e gli Analytics come la principale priorità di investimento nel 2018. La maggiore consapevolezza si riflette anche nella crescita delle competenze impiegate: quasi un’impresa su due ha già inserito nel proprio organico uno o più data scientist, passando dal 31% del 2016 al 45% di quest’anno.
Tuttavia, il processo di trasformazione delle tradizionali imprese italiane in “Big Data Enterprise” è ancora lungo: soltanto il 17% ha raggiunto un buon livello di maturazione (contro l’8% del 2016), mentre il 26% si trova in una fase di riconfigurazione dei propri processi organizzativi e il 55% è rimasto legato a un modello organizzativo tradizionale, in cui le singole unità di business analizzano i dati di propria competenza senza una visione aziendale complessiva.
In altre parole, comincia a farsi strada in maniera strutturata l’idea che l’utilizzo dei Big Data Analytics è indispensabile per non rischiare di perdere capacità competitiva: le imprese che negli anni scorsi hanno saputo approfittarne, affiancando all’innovazione tecnologica un modello organizzativo capace di governare il cambiamento, oggi si trovano in portafoglio processi più efficienti, nuovi prodotti e servizi con un ritorno dell’investimento certo e misurabile.
Nel quadro tracciato dagli specialisti del Politecnico di Milano, anche le Pmi mostrano un diffuso interesse per l’analisi dei dati, con l’utilizzo di strumenti di data visualization e analytics di base, ma anche servizi di supporto alle attività di marketing.
Strumenti e settori al centro delle Analytics
Non stupisce, dunque, che la totalità delle grandi imprese utilizza i descriptive analytics, strumenti che descrivono la situazione attuale e passata dei processi aziendali, con una crescita di 11 punti percentuali rispetto allo scorso anno.
Ciò detto, l’area di maggiore interesse per le imprese è quella dei predictive analytics, gli strumenti avanzati che consentono di effettuare previsioni sull’evoluzione del mercato e sulle strategie, già diffusi nel 73% dei casi (contro il 59% del 2016). Sono ancora indietro, invece, i prescriptive analytics, tool avanzati capaci di proporre soluzioni sulla base delle analisi svolte e, ancora di più, gli automated analytics, capaci di avviare autonomamente l'azione proposta secondo il risultato delle analisi.
Il settore più interessato nel mercato degli Analytics tra le grandi imprese è quello bancario (28%), seguito da manifatturiero (24%), telco e media (14%), PA e sanità (7%), servizi (8%), GDO (7%), utility (6%) e assicurazioni (6%). Se si prende in considerazione la crescita, però, guidano la graduatoria assicurazioni, manifatturiero e servizi, con tassi superiori al 25%, seguiti da banche, GDO e telco e media, con tassi tra il 15% e il 25%, poi utility e Pa e sanità, con crescite più modeste.
Spinta all’innovazione e corsa agli ostacoli
Tra le aziende che hanno avviato iniziative, gli obiettivi dei progetti di Big Data Analytics sono stati soprattutto il miglioramento dell’engagement con il cliente (70%), l’incremento delle vendite (68%), la riduzione del time to market (66%), l’ampliamento dell’offerta di nuovi prodotti e servizi e l’ottimizzazione dell’offerta attuale per aumentare i margini (64% ciascuno), la riduzione dei costi (57%) e la ricerca di nuovi mercati (41%).
Tra gli ostacoli principali ai progetti di Big Data Analytics, spiccano la mancanza di impegno e coinvolgimento da parte del top management (53%) e la mancanza di competenze e figure organizzative interne come Chief Data Officer e Data Scientist (51%). Invece non sembrano essere elementi di freno sostanziali i software poco usabili o le soluzioni obsolete (12%), così come la capacità di reperire dall’esterno professionalità con l’adeguato mix di competenze (22%).
Non a caso, nel 2017, quasi la metà delle grandi organizzazioni ha al proprio interno almeno un data scientist: il 45% a fronte del 31% nel 2016. Di queste, più del 30% ne ha definito formalmente ruolo e collocazione organizzativa. Inoltre, in media le aziende che contano già dei data scientist in organico dichiarano di volerne incrementare il numero nei prossimi 12 mesi (+46%), ulteriore conferma dell’impatto positivo di queste competenze. Tra le organizzazioni che ne sono ancora sprovviste, il 29% ne prevede l’introduzione, nel 45% dei casi entro il 2018.
Fra le organizzazioni che hanno assunto data scientist, il 28% ha iniziato a riconfigurare i propri processi organizzativi secondo una modalità Data Science Enabled, ma le competenze specializzate inserite lavorano ancora prevalentemente nella funzione IT o in altre specifiche funzioni aziendali.
A sua volta, il 55% delle imprese che non hanno inserito in organico figure specializzate, invece, presenta ancora un modello organizzativo tradizionale, in cui le singole unità di business sono orientate ad analizzare i dati di propria competenza, senza alcuna visione aziendale complessiva.