A cura di Simone Colombo di Logotel – autore di un intervento all’interno del quaderno Weconomy #12, “Robot – L’automazione è collaborativa?”
Dalle auto che si guidano da sole ai cellulari che rispondono alle nostre domande, le nuove tecnologie stanno trasformando radicalmente la nostra vita quotidiana, così come il panorama sociale, lavorativo e collaborativo.
Per dirla alla Bauman, l’era cognitiva è uno dei modi in cui si manifesta la ‘compulsione a liquefare, fondere, estrarre’ della post-modernità in cui viviamo. Una tendenza che si manifesta in tutti gli ambiti in cui l’uomo dispiega la propria azione sul mondo, ma se questa liquefazione impatta anche sulle sue strutture conoscitive, allora le conseguenze diventano dirompenti e la trasformazione ancora più profonda.
Stiamo quindi facendo un salto notevole: dalla società dell’informazione siamo passati a quella della conoscenza e adesso entriamo in questa nuova società cognitiva. La domanda è: siamo attrezzati come esseri umani per viverla?”.
Il mondo è cambiato, ma noi siamo sempre uguali. La digitalizzazione ha ampliato le nostre capacità cognitive che, però, sono rimaste nella loro natura le stesse. Alle nostre strutture conoscitive sembra mancare qualcosa per comprendere questa nuova relazione con le machine learning, capaci di procacciare nuove nozioni.
In effetti abbiamo di fronte un nuova urgenza che impatta anche sul modo con cui, come società, dalla scuola all’impresa, educhiamo, formiamo e supportiamo le persone. Il mondo artificiale e quello naturale si stanno incontrando nella nano-dimensione che apre alla connessione fisico-digitale tra esseri umani e robot e lascia immaginare nuovi scenari come il recente trapianto di mano bionica al Gemelli di Roma, che abilita la paziente anche al tatto non solo alla manipolazione. Ma già oggi ci sono uomini e donne che risparmiano chattando con Plum, servizio che permette di gestire le proprie finanze personali sul messanger di Facebook, che rispondono ad un job posting con “video interviste cognitive” attraverso la piattaforma Talview o, ancora, dottori e pazienti che interagiscono con il sistema IBM Watson nella diagnosi e prognosi di malattie, oppure consumatori che dialogano con applicazioni Autodesk per risolvere i loro problemi di acquisto e utilizzo dei prodotti.
Nell’interazione con questi sistemi cambia radicalmente il modo in cui formuliamo il nostro giudizio sul vero e il falso, il giusto e lo sbagliato, il degno di fiducia o meno, il bello e il brutto.
Insomma, cambiano la logica, l’etica e l’estetica che ci permettono di conoscere e interagire con il mondo in tutti i campi in cui questa interazione può avvenire. Siamo sempre uguali e non ci saranno nuovi esseri umani al momento ma dalla liquefazione di logica, etica ed estetica può emergere un nuovo modo utile a noi esseri umani che viviamo e vivremo nell’era cognitiva. La post-modernità ci porta a misurarci con una nuova realtà in cui il giudizio su ciò che è vero, giusto e bello si esercita con un atto unico, istantaneo e necessario.
Se pensiamo a noi come consumatori, lo sviluppo è nell’interfaccia per interagire con i twin digitali dei prodotti che acquistiamo. Immaginiamo, ad esempio, di giocare a tennis con una racchetta capace di registrare punti di impatto, effetti e rotazioni impresse alla pallina e direzioni dei nostri colpi. Attraverso un’interfaccia user-friendly capace di aggregare i dati raccolti e diagnosticare il nostro stile di gioco, interagiamo con un sistema che suggerisce come rendere più efficaci i colpi, quali allenamenti fare, come modificare i propri movimenti e adottare nuovi stili di gioco. Questo “twin digitale” della racchetta che impugniamo ci permette di tracciare una direzione di miglioramento rispetto alla quale valutarci.
L’era cognitiva promette quindi di potenziare le nostre azioni, ma dobbiamo scegliere di giocare con le regole di questa nuova epoca, generando i dati che servono per farla funzionare, per poi condividerli: dobbiamo essere disposti a cambiare il modo in cui riconosciamo la verità, accordiamo fiducia, ci facciamo emozionare dal bello.
Abbiamo bisogno, tutti, di competenze che trascendono e liquefano le discipline del nostro sapere e abbracciano la vita, in tutte le forme in cui si manifesta. Sono le life skills, come le definisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Non sono competenze “nuove”, ma un modo diverso di utilizzarle perché impariamo ad esercitarle simultaneamente e passare facilmente dall’una all’altra: pensiero critico, curiosità e iniziativa; collaborazione, comunicazione e auto-efficienza; sperimentazione, creatività e problem solving. L’essere umano può rinnovarsi e diventare migliore nell’era cognitiva solo crescendo insieme e contemporaneamente sia nella capacità di comprendere sia nel desiderio di instaurare relazioni positive sia nella volontà di ricercare modi nuovi e più efficaci di intervenire sul mondo.