Tra aprile e giugno 2017 sono tornati a crescere gli attacchi DDoS. Lo dicono i dati del Rapporto sulla Sicurezza di Akamai Technologies riferiti al secondo trimestre di quest’anno secondo cui un importante contributo a questa nuova ondata di attacchi è dato dalla ricomparsa del malware DDoS PBot, utilizzato per lanciare gli attacchi di tipo Distributed Denial of Service più imponenti registrati da Akamai nel corso di questo trimestre.
Il pericolo arriva dal passato
Nel caso del malware PBot, utenti malintenzionati hanno utilizzato codice PHP che risale ad alcuni decenni fa per generare l’attacco più ampio osservato da Akamai nel secondo trimestre. In questo modo, gli autori sono riusciti a creare una mini botnet DDoS in grado di lanciare un attacco di tipo Distributed Denial of Service da 75 gigabit al secondo (Gbps). È interessante notare che la botnet PBot era composta da un numero relativamente contenuto di nodi, circa 400, in grado tuttavia di generare un notevole livello di traffico di attacco.
Un altro elemento preso dal passato, rilevato dall’analisi svolta dal team Threat Research di Akamai, è l’impiego di algoritmi di generazione di domini nell’infrastruttura dei malware Command and Control (C2). Utilizzato per la prima volta assieme al worm Conficker nel 2008, il DGA rimane una tecnica di comunicazione frequentemente utilizzata anche per i malware attuali. Il team di ricerca delle minacce di Akamai ha scoperto che le reti infette hanno generato un tasso di ricerche DNS 15 volte superiore rispetto a quelle non infette. Ciò può essere spiegato come conseguenza del fatto che il malware presente nelle reti infette accede a domini generati casualmente. Poiché la maggior parte dei domini generati non era registrata, tentare di accedere a tutti avrebbe generato troppo rumore. Analizzare le differenze di comportamento tra le reti infette rispetto a quelle non infette è un ottimo modo per identificare l'attività del malware.
Verso la massificazione degli attacchi DDoS
Quando lo scorso settembre è stata scoperta la botnet Mirai, Akamai è subito diventata uno dei suoi primi obiettivi. Da allora, la piattaforma dell’azienda ha continuato a essere presa di mira e a respingere efficacemente attacchi provenienti dalla botnet Mirai. I ricercatori di Akamai hanno utilizzato la visibilità sulla botnet Mirai che solo Akamai può vantare per studiare i diversi aspetti della botnet. In particolare nel secondo trimestre tale analisi si è concentrata sull’infrastruttura C2 di Mirai. Le ricerche condotte da Akamai indicano chiaramente che Mirai, come molte altre botnet, sta contribuendo alla massificazione degli attacchi DDoS.
Stando a quanto suggerito in una nota ufficiale da Martin McKeay, Senior Security Advocate di Akamai: «Gli autori degli attacchi testano continuamente i punti deboli nelle difese delle aziende e investono maggiore energia e risorse sulle vulnerabilità che risultano più diffuse ed efficaci. Eventi come la botnet Mirai, l’exploit utilizzato da WannaCry e Petya, l’aumento continuo degli attacchi SQLi e la ricomparsa del malware PBot testimoniano che gli autori degli attacchi non escogiteranno solo nuovi strumenti e strategie, ma torneranno a riutilizzare anche strumenti già visti in passato che si sono dimostrati particolarmente efficaci».