Dalle operazioni bancarie all’intrattenimento, dallo shopping alla ristorazione, la tecnologia non ha mai avuto un ruolo così importante nelle nostre vite. Eppure, globalmente, numerose ricerche evidenziano che il nostro livello di fiducia non è mai stato così basso.
I fattori in gioco sono molteplici e sono condizionati sicuramente dalla situazione internazionale che stiamo vivendo e che incide su molti ambiti.
In questo clima, tecnologie come l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico ci sono state spesso presentate attraverso una narrativa distopica, con il risultato di aumentare un sentimento di diffidenza rispetto al reale valore e al potenziale che potrebbero esprimere.
Gran parte del problema legato alla fiducia nella tecnologia è dovuto al fatto che ad alimentarla siano in gran parte i dati. E, se le aziende sono entusiaste di promuovere servizi altamente personalizzati per i loro clienti, questi ultimi sono sempre più preoccupati di come questa customerizzazione venga ottenuta, di come il loro comportamento online e i loro dati personali vengano utilizzati e monetizzati e se questi dati siano al sicuro. In una recente indagine commissionata da VMware, due terzi (66%) dei consumatori europei (percentuale che in Italia si attesta sul 55%) hanno ammesso di non sapere chi ha accesso ai loro dati personali o come vengano utilizzati.
Inevitabilmente, queste preoccupazioni aumentano quando le notizie di violazioni di dati finiscono sulle prime pagine dei giornali, e informazioni private sono improvvisamente esposte a milioni di persone. Allo stesso modo in cui la sicurezza informatica è diventata una priorità per molti consumatori, lo sarà anche la privacy dei dati.
Il dilemma del consumatore
Un altro tema è quello legato al cambiamento del comportamento degli stessi consumatori. La ricerca ha rivelato che il 58% dei consumatori (il 44% in Italia) teme che terze parti possano vedere dove viaggiano, dove fanno acquisti e cosa comprano, e quasi la metà (45% in Italia) è preoccupata che le organizzazioni registrino ciò che fanno sui loro dispositivi. Tuttavia, nonostante questi timori, il 43% (il 44% in Italia) ammette di avere profili personali sui social media che potrebbero avere un impatto negativo sulla propria privacy.
Questo divario tra la preoccupazione per l’utilizzo dei propri dati e la leggerezza con cui gli stessi vengono spesso condivisi dai consumatori rappresenta una sfida che le organizzazioni devono saper affrontare e gestire, per poter garantire ai propri clienti che i dati forniti siano al sicuro e utilizzati in modo responsabile.
La fiducia richiede sicurezza, privacy e trasparenza
Quindi, quali azioni possono intraprendere le aziende per creare e rafforzare quel rapporto di fiducia di cui hanno bisogno con i clienti? In primo luogo, la sicurezza dei dati è fondamentale: le organizzazioni devono essere in grado di mitigare le minacce informatiche e arginare l’uso improprio dei dati attraverso policy di sicurezza che proteggano persone, processi e servizi digitali.
Ed è proprio sull’efficacia dei controlli di sicurezza che poggia la privacy dei dati, ovvero il secondo pilastro che costituisce la fiducia dei clienti. In passato, la privacy si basava sull’idea di trasparenza: le aziende consideravano soddisfatti i loro obblighi se, al momento dell’iscrizione a un servizio, gli utenti venivano informati sull’utilizzo dei loro dati. In effetti, questa era la premessa di base del GDPR in Europa.
Oggi questo livello di trasparenza non è più sufficiente. Comprensibilmente, molti consumatori ritengono che gli avvisi sulla privacy su app e siti web non forniscano in realtà alcuna scelta o controllo significativi: dopotutto, se non accettano, potrebbero non essere in grado di utilizzare il servizio. Questa mancanza di controllo si riflette anche nei risultati della nostra ricerca: il 40% delle persone intervistate in Europa (il 37% in Italia) ammette di accettare tutti i cookie dei siti web senza ulteriori indagini per risparmiare tempo. Ancora una volta, ci troviamo innanzi a una dicotomia tra intenzione ed effettivo comportamento.
Il controllo e la scelta, così come la trasparenza, sono ora al centro della questione della privacy. Le organizzazioni, in particolare quelle del settore tecnologico, devono dare la priorità a questi elementi, porli al centro delle proprie decisioni di progettazione (insieme alla sicurezza dei dati) e capire che un approccio incentrato sulla privacy può coesistere con l’innovazione.
In VMware stiamo affrontando questo problema attraverso un approccio che chiamiamo Privacy by Design. Lo integriamo in tutti i processi organizzativi e nelle tecnologie che coinvolgono i dati personali, consentendo ai nostri team di prodotto di offrire un’esperienza cliente conforme ma superiore. L’approccio segue quattro principi fondamentali: 1) inserire la privacy nelle prime fasi di sviluppo di un prodotto; 2) ridurre al minimo i dati che raccogliamo e utilizziamo; 3) salvaguardare i dati personali con i più elevati standard di sicurezza informatica; 4) lasciare che siano gli utenti a scegliere quali dati personali fornire, ove possibile.
Rivalutare il modo in cui ci si relaziona con i clienti in funzione della privacy è qualcosa che le aziende di ogni tipo devono ai loro clienti. In caso contrario, rischiano di perderli del tutto. Tuttavia, le aziende tecnologiche hanno obblighi più importanti: concentrarsi sulla sicurezza, sulla privacy-by-design e sulla trasparenza non è solo la cosa giusta da fare per i clienti e per la società, ma anche per alzare il livello del nostro settore. Dopotutto, in un mondo digitale in continua espansione, la responsabilità di ricostruire la fiducia nella tecnologia ricade inevitabilmente sulle nostre spalle. E, naturalmente, è questa responsabilità collettiva nel costruire la fiducia dei consumatori che porterà le nostre economie digitali al livello successivo.
A cura di Raffaele Gigantino, Country Manager VMware Italia