In Italia competenze e risorse rappresentano ancora un freno alla diffusione dell’intelligenza artificiale. Ne è convinto, tra gli altri, Mario Rosati (nella foto qui accanto), CEO di E4 Analytics, in Italia, di cui pubblichiamo qui di seguito una riflessione in tema.
L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia oggi apparentemente in fase di remissione, ha senza dubbio dato grande spinta alla digitalizzazione, in Italia come nel resto del mondo. Processi di innovazione già avviati hanno subito una decisa accelerazione, mentre si sono fatti via via più chiari i benefici potenziali portati da una maggiore diffusione delle tecnologie emergenti.
Tra queste, un posto di rilievo lo merita sicuramente l’intelligenza artificiale. Da tempo ormai oggetto di discussione accademica, negli ultimi anni è diventata una priorità di analisi e investimento per le aziende, attratte dai benefici indiscutibili che promette.
I dati dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano ne confermano il potenziale impatto economico sul nostro Paese. Rispetto a prima della pandemia, il tasso di crescita è superiore del 27%, per un valore attualmente stimato in 380 milioni di Euro, che si prevede possa raddoppiare in due anni – soprattutto in investimenti per progetti di Intelligent data processing – e che se mantiene questo ritmo renderà l’intelligenza artificiale la principale protagonista della rivoluzione digitale italiana.
I motivi di questo successo sono evidenti, e risiedono nell’ottimizzazione dei processi insita nel concetto stesso di intelligenza artificiale. Alcuni settori devono affrontare livelli di competitività talmente elevati che l’eliminazione di inefficienze avrà tanto valore per loro quanto il raggiungimento di maggiori capacità in tutti gli ambiti relativi alle proprie criticità operative (produzione, lettura del mercato, prontezza di reazione/risposta alle sollecitazioni sia interne che esterne, ecc.). Tutto questo perché la velocità del cambiamento nei processi, nella società, nelle relazioni, nell’economia e nelle tecnologie ha raggiunto livelli che sono al di là delle migliori capacità umane. Le aziende emergenti che guideranno ciascuna il proprio settore di riferimento, avranno sicuramente tratto vantaggio dalle migliori soluzioni tecnologiche ottenute con strumenti di Artificial Intelligence.
Possiamo ripetere oggi con una certa convinzione lo slogan che nei primi anni ’90 del secolo scorso aveva accompagnato l’affacciarsi di Internet nelle nostre vite: le aziende che non ci faranno i conti da subito, da qui a pochi anni rischieranno di scomparire dal mercato.
L’intelligenza artificiale promette quindi di risolvere i problemi di ogni organizzazione? Non esattamente, perché sono significativi gli aspetti discriminanti da considerare. In molti casi il punto di accesso a queste tecnologie, prima ancora che alle soluzioni che se ne possono derivare, resta per il momento piuttosto alto in termini di strumenti e piattaforme sia hardware che software per poterle ospitare. Anche la difficoltà a individuare fornitori non generalisti, che possano saldamente orientare le PMI nell’individuare componenti e professionalità altamente specializzate, resta al momento uno dei maggiori fattori frenanti.
Cosa manca quindi perché l’intelligenza artificiale possa accelerare ulteriormente la propria crescita e distribuire i suoi benefici in modo ancora più esteso, indipendentemente dalle dimensioni delle organizzazioni e dai loro ambiti di attività? La risposta è piuttosto articolata, anche se per alcuni versi può apparire perfino elementare: competenze e risorse.
Ciò che le aziende arriveranno presto a comprendere – e quanto impiegheranno per giungere a questa determinazione farà per loro la differenza su se e come risulteranno vincenti nei propri mercati di riferimento – è che l’AI è diventata ormai un passaggio irrinunciabile anche per realtà di piccole dimensioni (PMI).
Trattandosi di tecnologie con un livello di sofisticazione mai visto in precedenza, sono oggi pochissimi gli operatori che possano vantare una reale e concreta esperienza maturata sul campo.
Le competenze tecnologiche necessarie spaziano tra diversi settori verticali intrinsecamente complessi, per i quali è indispensabile poter contare su sistemisti con esperienze non comuni nella progettazione di raffinati ambienti HPC, configurati per l’ottimizzazione del lavoro di cluster con GPU ad alte prestazioni, su cui installare e mettere a punto ambienti software e applicazioni di ultima generazione.
Ogni componente di una efficace architettura per l’AI deve essere individuata e configurata in modo appropriato da specialisti che conoscano ciascuno il proprio segmento e che collaborino per il rilascio di configurazioni capaci, performanti e dotate di enorme potenza computazionale. Insomma, un sistema AI non è per tutti e non si improvvisa.
Le poche realtà che già operano sul mercato italiano seguendo concretamente progetti di intelligenza artificiale si ritrovano quindi a ricoprire un duplice ruolo fondamentale. Da un lato, come portatori di competenze avanzate possono giocare un ruolo di catalizzatori rispetto alla digitalizzazione avanzata di cui l’AI è un elemento cruciale. Dall’altro, possono e devono contribuire a diffondere la cultura dell’AI su un mercato sempre più ricettivo e potenzialmente infinito o quasi.
Quando le organizzazioni avranno più chiari i benefici possibili dell’AI, ma anche i suoi casi di uso più promettenti e le condizioni necessarie per il raggiungimento del suo pieno potenziale, allora certamente vedremo un’ulteriore accelerazione nella definizione e implementazione di progetti di intelligenza artificiale.