Adattarsi, diventare resilienti e scalare rapidamente il proprio business per far fronte a sfide e rischi inattesi: nel turbolento periodo socio-economico che il mondo intero sta affrontando, i nuovi mantra della trasformazione aziendale passano per la rimozione delle barriere organizzative e tecnologiche più obsolete, dall’innovazione vista come un’opportunità piuttosto che un ostacolo, e, ovviamente, dall’integrazione sempre più profonda di piattaforme e infrastrutture digitali. In particolare, secondo una recente indagine a cura di Omdia, molte aziende riconoscono oggi l’importanza di passare a un nuovo modello “componibile”, identificandosi in quella che Gartner, che ha coniato il termine, definisce “composable enterprise”, ovvero un’organizzazione capace di fornire risultati di business adattandosi a circostanze mutevoli e impreviste, al ritmo dei cambiamenti aziendali.
Ma come si concretizza questo processo e in che modo costituisce un nuovo, importante avanzamento nell’allineamento e nella sempre maggior permeabilità tra IT, business e strutturazione aziendale?
La base di partenza della composable enterprise: guardare alla modularità
Uno degli scopi primari della Composable Enterprise è l’eliminazione delle barriere interne che limitano la flessibilità e il cambiamento, sia a livello di processi che di architetture, andando a realizzare un percorso di “scomposizione”.
Il tutto con l’obiettivo di segmentare le funzioni applicative in una serie di unità che – sempre Gartner – chiama Packaged Business Capabilities (PBC), dove ogni PBC incapsula al suo interno funzionalità di business specifiche ed altamente coerenti, offrendo all’impresa una maggiore capacità di cambiamento e una maggiore rapidità nell’assemblare, smontare e riutilizzare team e tool a seconda delle esigenze.
Se stessimo giocando con i Lego, sarebbe l’equivalente di prepararsi a rispondere ad ogni sfida costruttiva predisponendo una serie di mattoncini, ben definiti, autonomi e sempre tra di loro interfacciabili; e proprio questa metafora ci aiuta anche a capire come l’idea di “composable enterprise” diventi una sorta di filo rosso che non fa riferimento a una singola tecnologia, una singola pratica, un singolo modo o schema, ma che lega l’intera azienda, sottolineando l’importanza della modularità, a sua volta elemento chiave dell’adattabilità.
L’architettura definisce la componibilità
La modularità non è certamente un concetto nuovo nell’informatica e nemmeno nell’organizzazione aziendale.
Single responsibility principles, separation of concern, loose coupling, e molti altri ancora, sono tutti
principi e metodi utilizzati dai progettisti di software da diverso tempo, eppure la composability costituisce un’eccezione in virtù della sua visione allargata, che porta a estendere tali concetti non solo all’IT, alla programmazione, ma anche alle architetture per intero e, possibilmente, al modo di pensare, organizzare e definire l’intera strategia aziendale e i suoi processi.
Per supportare il modo di concepire le“composable enterprise”, tuttavia, serve una precisa architettura digitale, volta all’eliminazione delle divisioni in silos dei dati e delle applicazioni legacy, monolitiche, a favore di un portfolio di moduli, quindi di applicazioni, estremamente interfacciabili e ricomponibili per diversi scopi.
Questo traguardo presuppone essenzialmente tre prerequisiti:
1. Una buona infrastruttura di integrazione applicativa, che garantisca la possibilità di far comunicare l’ecosistema in maniera ben governata attraverso l’uso di standard e tecnologie efficienti e pensate per il cambiamento, semplificando così l’aggiunta al portfolio di nuovi servizi o la modifica di quelli esistenti.
2. Una forte automazione dei processi IT. Per essere massimamente adattabile, rilasciare un nuovo software, una modifica o un cambiamento deve essere economico, fattore che rende automatizzare tutti i processi di CI/CD una decisione imprescindibile.
3. Infine, vendor che, come pratica di progettazione, partano da una visione di architetture adattabili e flessibili, e che quindi dimostrino competenze sull’architettura di governo dell’integrazione applicativa e del mondo dei microservizi come Enterprise Service Bus, Digital Integration Hub, API Gateways e API Portals.
Obiettivo ultimo: governare il cambiamento
È chiaro, a questo punto, come la composability abbia un solo, vero scopo finale: governare il cambiamento in un momento in cui quest’ultimo impatta su tutti costantemente, ponendo le aziende di fronte alla scelta tra un’evoluzione proattiva o una reattiva.
Essere composable significa essere in grado di adattare velocemente la forma del supporto organizzativo digitale alle esigenze di business aziendale, ottimizzando tutti i vantaggi insiti nell’aprire nuovi canali di business e relazioni tra gli stessi.
Cosa vuol dire? Ad esempio, che in caso di un black swan, come è stata la pandemia Covid, sarà possibile riconfigurare ed adattare la modalità di fare business in tempi brevi, ad esempio supportando nuovi canali, nuove modalità logistiche od organizzative, introducendo nuovi strumenti di comunicazione digitale validi sia per l’interno che per l’esterno dell’azienda; o ancora, nel caso di problematiche meno imponenti ma comunque impattanti sull’operatività, come il cambiamento o l’evoluzione di un applicativo aziendale, riuscire a compiere l’operazione velocemente, senza che si crei disservizio al cliente finale.
In ultima battuta, possiamo affermare che il raggiungimento di una vera composability non sia riuscire a prevedere il cambiamento, ma ottenere il massimo grado di reattività e profittabilità nei confronti del cambiamento stesso.
A cura di Manuel Zini, Distributed Systems and New Tech Senior Manager, Kirey Group