Viviamo nel bel mezzo di una grande rivoluzione industriale, la quarta della storia, che sta guidando le nostre economie e società con una velocità senza precedenti. Abilitata dal miglioramento esponenziale dell’iper-connettività, la digitalizzazione è destinata a consolidarsi, entro la fine di questo decennio, come il principale motore del progresso nel mondo. In questo scenario, gli algoritmi che stanno cambiando il nostro presente e plasmando il nostro futuro si rivelano, come un Giano contemporaneo, come le principali fonti di sfide per le nostre società e, allo stesso tempo, come gli strumenti chiave per la loro risoluzione. Gli algoritmi svolgono, ai nostri giorni, il ruolo di pharmakon che, per Platone, la scrittura svolgeva nei confronti della memoria: un elemento capace di indebolirla e, insieme, di scongiurare il rischio dell’oblio. O come la birra per Homer Simpson, che è al contempo “la causa e la soluzione dei principali problemi del mondo”.
Questo doppio volto è evidente nel campo della cybersecurity, una delle principali sfide del nostro tempo. La digitalizzazione, accelerata negli ultimi anni anche dalla pandemia, ha permesso di creare nuovi modelli di business e metodologie agili di lavoro a distanza. Ma ha anche aperto la porta a nuove minacce e vulnerabilità. Secondo il rapporto Clusit nel 2021 gli attacchi informatici nel mondo sono aumentati del 10% e sono sempre più sofisticati. Infatti, lo scorso anno il 79% degli attacchi rilevati ha fatto registrare un impatto elevato, un aumento del 29% rispetto al 2020. La soluzione a questo scenario di aumento del rischio è, ovviamente, un adeguato investimento tecnologico, accompagnato da un cambiamento nell’approccio alle minacce, passando da una visione tattica a una strategica.
Il doppio volto della tecnologia è evidente anche nella grande sfida del nostro tempo: la sostenibilità. Così, le tecnologie Cloud, Blockchain, Internet of Things e Big Data, tra le altre, hanno contribuito negli ultimi anni a creare innovazioni incrementali volte a limitare drasticamente l’impronta di CO2 delle nostre aziende. Ma, allo stesso tempo, hanno generato nuove sfide di consumo energetico derivanti dall’archiviazione e dalla trasmissione dei dati, che stiamo ancora cercando di risolvere. Come? Naturalmente con nuovi sviluppi tecnologici.
L’uso delle tecnologie digitali e in particolare degli algoritmi per risolvere le grandi sfide del nostro tempo rivela anche un altro aspetto essenziale del nostro particolare Giano contemporaneo: il suo carattere intrinsecamente politico. Gli algoritmi – non solo l’uso che ne facciamo, ma essi stessi – sono politici nella misura in cui danno forma a un determinato ordine sociale e nella misura in cui sono il risultato dell’ordine in cui sono stati progettati.
Gli algoritmi, infatti, non sono neutrali, sono frutto del lavoro di persone con bias culturali, preferenze, pregiudizi, pregi e difetti e sono prodotti all’interno di una struttura sociale ed economica determinata, spesso caratterizzata da forti diseguaglianze. Presentare gli algoritmi come strumenti neutrali è un artificio politico carico di significato ideologico. Così come è una scelta politica la limitazione della governance algoritmica alla sola soddisfazione dei consumatori, confondendo l’efficienza commerciale con la convenienza democratica.
L’algoritmo è uno strumento politico: è sia il risultato che il creatore di un ordine sociale. Di conseguenza, dobbiamo essere in grado di partecipare, come società, alla decisione del senso teleologico che vogliamo dare agli algoritmi. Senza accettare, né dare per scontato, un fine apparentemente “naturale”. Il senso politico degli algoritmi – e, in generale, della tecnologia – deve essere il risultato di una discussione democratica sul modello di società che vogliamo costruire e da cui vogliamo che nasca la tecnologia del nostro futuro. Da questo dipendono le sfide che dovremo affrontare in futuro e il successo nel risolverle.
di Pedro Garcia, CEO di Minsait in Italia