Pensando agli uffici fisici, a un anno dall’inizio della pandemia, Fabio Luinetti, country manager di Citrix Italia, definisce “lo spazio di lavoro un concetto sempre più fluido”.
Secondo Luinetti, infatti: «La pandemia, da una parte ha cambiato profondamente le nostre abitudini ma, dall’altra, ha accelerato una tendenza importantissima già in atto: sganciare lo spazio di lavoro da un luogo fisico per identificarlo in uno spazio digitale che segue la persona ovunque abbia bisogno di trovarsi. È quindi più importante che mai offrire a chi lavora un’esperienza di livello elevato che, indipendentemente da dove si trovi e dal dispositivo utilizzato, gli permetta di esprimersi al meglio, focalizzandosi, in tutta sicurezza, sulle attività più strategiche e remunerative».
Oggi, nonostante non possiamo certo dirci fuori dall’emergenza, sappiamo che il nostro spazio di lavoro è comunque destinato a cambiare in maniera radicale.
Una nuova survey realizzata da Citrix e OnePoll nel 2020 analizza come questo nuovo modello di lavoro stia influenzando addirittura le scelte abitative delle persone, con il 39% degli intervistati che decide di abbandonare le grandi città a favore di aree decentrate o rurali e il 29% che pensa che le aziende ridurranno gli spazi dei loro uffici nelle città in maniera significativa.
Le città come le conosciamo sono destinate quindi a cambiare pelle? Non tutti sono d’accordo: il 26% degli intervistati nella stessa ricerca pensa che il 2020 abbia rappresentato una sorta di reset, tale per cui i prezzi delle case a un certo punto crolleranno per via del progressivo spopolamento e a quel punto le persone via via saranno nuovamente attratte dai centri cittadini. A questa percentuale fa eco invece un altro 21%, che pensa che molti lavoratori non torneranno più nelle grandi città ma continueranno a lavorare da remoto: senza dubbio tutta l’economia legata al pendolarismo è fortemente a rischio.
Dagli uffici fisici all’affermazione di modelli di lavoro ibridi
Ancora per Luinetti: «Non prevediamo certo un futuro fatto di città spopolate. Ma è molto probabile che si affermino modelli di lavoro ibridi, che richiedano la presenza negli uffici per un tempo limitato. Ciò che è importante, però, è che cambi la cultura del lavoro e si permetta alle persone di esprimere al meglio il proprio potenziale mettendo a loro disposizione gli strumenti giusti e la tecnologia giusta, facilitando il coniugare della propria professionalità con le esigenze personali e famigliari».
La pandemia da Covid 19, infatti, ha cambiato profondamente molte tra le nostre abitudini, a partire dal modo in cui lavoriamo. Oggi, a un solo anno dall’emergenza, sono stati fatti molti passi avanti verso un’organizzazione del lavoro sempre più guidata dalla trasformazione digitale.
Durante la fase più acuta dell’emergenza, lo smart working ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni italiane e il 58% delle PMI, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570mila censiti nel 2019.
Inizialmente lo smart working sembrava essere una misura di emergenza ma il sentore che questa modalità di lavoro sia destinata a durare è un parere condiviso da molti.