Una end-to-end company che da trent’anni opera sul mercato della data integration coniugando l’approccio di un software solution vendor e di un system integrator per accompagnare il cliente nel suo progetto a 360°: Primeur, società nata a Genova nel 1986, ha un headquarter in Svizzera, è presente sul mercato globale e vanta un dna fortemente votato all’innovazione. L’azienda oggi si rinnova grazie ad un’operazione di rebranding e mira ad espandersi in maniera sempre più massiccia nei mercati esteri, oltre che a rafforzare la sua presenza in Italia, dove può contare su clienti dai nomi importanti, soprattutto in ambito finance. Abbiamo incontrato il suo CEO, Stefano Musso.
Partiamo da Primeur e dai suoi 30 anni che avete festeggiato nel 2016. Qual è il vostro punto di forza?
Primeur si occupa di data integration in tutti i suoi aspetti. Quello che ci contraddistingue è l’abilità di coniugare un approccio consulenziale tipico del system integrator con la capacità di sviluppare software proprietario. La nostra piattaforma di integrazione dei dati, Primeur Ghibli™, consente di integrare al suo interno sia software proprietario che parti di terzi.
Il nostro punto di forza è quello di essere una end-to-end company che accompagna il cliente in tutto il suo viaggio: entriamo, risolviamo il problema e usciamo quando il cliente è in produzione. A differenza degli altri provider, Primeur individua il problema e poi dà al cliente la possibilità di mantenere la parte esistente integrandola con il nuovo, il tutto offrendo un approccio a 360° proponendosi come unico referente. Un modo d’operare innovativo, differente rispetto a chi propone un metodo che si rifà al ‘Big Bang’ dove si distrugge tutto per poi ripartire da zero.
E dal punto di vista delle aziende quali sono i punti più critici nel processo di integrazione dei dati?
A questo proposito occorre chiarire la differenza tra Application Integration e Data Integration, che molto spesso vengono confuse. Il vero vantaggio della data integration è che si fa l’integrazione dei dati senza modificarne le applicazioni.
L’application integration può essere spiegata in termini semplici con la classica figura della ‘Spaghetti Integration’: tante applicazioni sono collegate tra di loro da una miriade di fili immaginari tutti interconnessi tra loro e dove non appena se ne sposta una non si sa più cosa fanno le altre. E’ come una partita a Shanghai: nel momento in cui devo integrare vado a modificare delle applicazioni che parlano tra di loro e a loro volta con altre applicazioni. Quando intervengo per modificare delle applicazioni devo ricordare di andare anche a cambiare quello che ho fatto prima. Un processo ad hoc estremamente complesso, che alcune volte è necessario ma che spesso viene utilizzato anche laddove un approccio di data integration potrebbe portare maggiori vantaggi.
La data integration infatti regala agilità e velocità alle aziende perché si basa su un layer che comunica con tutte le applicazioni e che lavora come un intermediario: quando si vanno a cambiare delle applicazioni ciascuna applicazione parla con il layer e gli dice cosa vuole dalle altre applicazioni. Questo permette di far sì che nel momento in cui un cliente vuole cambiare una certa applicazione cambia solo quella, senza intaccare l’architettura sottostante. Sarà sufficiente comunicare al layer il cambiamento avvenuto. Un approccio che dona semplicità, consente di risparmiare tempo e denaro e soprattutto dà delle certezze.
Primeur ha un parco clienti importante…
Assolutamente sì. Storicamente siamo presenti in maniera massiccia nel mercato del finance – banche e assicurazioni – tanto che un buon 80% del mercato finanziario italiano utilizza nostre tecnologie e siamo considerati uno standard di fatto sulla parte del file transfer.
Siamo poi attivi sul mercato del retail, nell’automotive, in ambito energy e utilities, telco e nella pubblica amministrazione. A livello globale buona parte dei nostri clienti fanno parte della Fortune 500.
In Italia collaboriamo con Intesa San Paolo e Unicredit, con Lavazza, con Fiat Chrysler, con Generali, con banche, assicurazioni e centri servizi. A livello globale, tanto per citare un nome su tutti, un nostro cliente è Unilever.
Il panorama è dunque molto ampio e una peculiarità è che si tratta di rapporti di lunga data: una volta che un’azienda comincia a collaborare con noi non ci abbandona più, come Fiat, cliente di Primeur da 25 anni.
In Italia come siete presenti?
In Italia possiamo contare su una squadra di circa 150 persone distribuite nei nostri uffici di Genova, Milano, Roma, Torino, Ivrea, Pisa e Venezia. Oltre al quartier generale in Svizzera, abbiamo poi uffici a Dublino, in Svezia, in Spagna, in Francia, in Gran Bretagna e da poco siamo sbarcati anche negli Stati Uniti.
L’Italia è ancora un paese core?
Oggi il punto focale è la crescita internazionale, la partita deve essere necessariamente giocata a livello mondiale. Continuiamo comunque ad investire in Italia perché è un mercato che può rappresentare un importante volano e che si sposa bene con il nostro tipo di business. I nostri prodotti e il nostro approccio sono altamente scalabili: riusciamo ad approcciare il cliente Top 500 così come realtà più piccole, anche se di dimensioni importanti. Diversi clienti richiedono diversi approcci, con diversi cicli di vendita.
Primeur offre soluzioni industrializzate ma contemporaneamente personalizzate. Ma nostra peculiarità è che quando personalizziamo standardizziamo: cioè risolviamo il problema specifico del cliente ma essendo una cosa interessante per il mercato la generalizziamo e la rendiamo parte integrante della nostra piattaforma.
A livello internazionale, quindi, che mercati puntate ad aggredire?
Oltre a rafforzare la presenza in Italia il nostro obiettivo è lo sviluppo dei mercati esteri: Francia, Nordics, Stati Uniti e Regno Unito.
Per raggiungere obiettivi così importanti in occasione del nostro trentennale abbiamo sentito la necessità di una innovazione profonda che si è tradotta, a settembre, in un’imponente operazione di rebranding.
Da dove è maturata questa decisione?
Il settore della data integration, pur percorso da numerose novità in atto, è un settore piuttosto maturo. Per Primeur era importante dimostrare anche nell’immagine l’innovazione che contraddistingue le nostre tecnologie. Il processo di rebranding ha svecchiato l’immagine della società consentendoci di essere riconosciuti per quello che effettivamente oggi siamo: un’azienda sempre più innovativa.
A proposito di innovazione: dove nascono le idee che poi Primeur porta sul mercato?
La Ricerca e Sviluppo (R&S) è fondamentale per Primeur tanto che gli investimenti annuali in quest’area corrispondono a circa il 20-25% del fatturato.
Abbiamo tre laboratori di R&S: a Dublino, Torino ed Ivrea. In generale cerchiamo di seguire il principio di essere presenti laddove abbiamo trovato e continuiamo a trovare dei talenti, cercando di seminare lì.
E innovare sarà sempre più fondamentale se è vero che le tendenze in atto, come Big Data, IoT e Industry 4.0, stanno determinando una richiesta sempre maggiore di dati e del loro governo…
I dati oggi sono in espansione tanto che analisti come Gartner parlano di un mercato della data integration che vale, solo in termini di risposta ai bisogni, 10 miliardi di dollari ed è in costante crescita. La battaglia si giocherà da un lato sulla capacità di garantire la qualità del dato e dell’altro sulla capacità di tutelare la sicurezza. Siamo sempre più connessi, sempre più informazioni passano sui sistemi interni ed esterni e sempre più stiamo mettendo in comunicazione dati strutturati con dati non strutturati.
Quindi le opportunità ci sono: sono necessarie competenze importanti che dall’alto della nostra esperienza trentennale pensiamo di poter offrire.
Per finire, qualche dato sul fatturato?
Abbiamo chiuso il 2016 con un incremento del 13% rispetto allo scorso anno. Un dato positivo. Per il 2017 puntiamo a crescere di un ulteriore 20%.