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A cura di Richard Munro, Chief Technologist vCloud Air di VMware
Il termine “ibrido” figura nelle previsioni annuali degli esperti IT da almeno tre/quattro anni. La sua efficienza, la flessibilità dell’architettura e i benefici in termini di sicurezza, nel supportare carichi di lavoro, dati e applicazioni, sono stati più volte decantati come un modo di trasformare l’IT aziendale e trarre il massimo valore dai cloud pubblici e privati.
Allora perché ancora oggi ci troviamo a parlare di previsioni per il 2015?
Certo, abbiamo visto alcuni esempi straordinari di aziende che hanno iniziato a eseguire carichi di lavoro critici in un ambiente ibrido, molte di quelle che hanno sperimentatolo l’ibrido per la prima volta si sono però concentrate su i test e lo sviluppo o sul disaster recovery. Pur se molto importanti, questi casi utente hanno realizzato implementazioni a silos, fondate sul paradigma che ibrido possa significare semplicemente eseguire cloud pubblici e privati insieme.
Questa però non è la realtà, il vero significato di ibrido. Il vero ibrido, infatti, avrà il potere di trasformare completamente il panorama IT nei prossimi due anni, consentendo alle aziende di scalare senza problemi man mano che crescono il consumo piuttosto che la struttura dell’IT. Quale può essere allora il modo per sfruttare il potenziale del vero ibrido?
Non c’è dubbio che le esigenze dell’IT sono ogni giorno più scottanti. I dipendenti e le organizzazioni per cui lavorano sono più mobili, connessi, interattivi, immediati e flessibili che mai. I C-level fanno richieste incessanti all’IT – sia che si tratti di abilitare nuovi prodotti e linee di servizi, sia di fare evolvere e automatizzare la catena di fornitura o migliorare l’efficienza, consentendo pratiche di lavoro maggiormente moderne o trasformando il servizio clienti o il modello di go-to-market per il business. L’IT affronta una lotta costante per tenere il passo.
In definitiva, si deve trovare una soluzione che renda l’infrastruttura IT sottostante il più agile e reattiva possibile… Così come il vero cloud ibrido prometteva! Eppure molti degli ambienti oggi definiti come “ibridi” non mantengono questa promessa, poiché sono in realtà solo combinazioni di cloud pubblici e privati, con poca o nessuna compatibilità tra loro. Le applicazioni devono essere riscritte o hanno bisogno di plug-in per spostarsi tra cloud diversi, ed è necessario avere degli strumenti totalmente diversi (e spesso anche competenze differenti) per farli funzionare. Ne risultano degli ambienti di test utili, ma dall’impatto reale sul business decisamente limitato.
Il vero ibrido, al contrario, crea un ambiente in cui i carichi di lavoro possono essere spostati a proprio piacimento, tutto senza discontinuità, utilizzando esattamente gli stessi strumenti già noti ai team IT.
In questo contesto, le applicazioni critiche garantiscono le prestazioni necessarie, mentre le risorse possono essere allocate e fornite dove richiesto. Questo rende l’IT più sensibile alle richieste del business, grazie alla capacità di mettere a disposizione all’istante nuove infrastrutture per far fronte a nuovi progetti, impostare server virtuali per gestire un nuovo sistema nelle varie aree aziendali, come le risorse umane, il marketing ed altre ancora. E, naturalmente, anche la possibilità di scalare al contrario con la stessa facilità in caso di necessità; uno degli aspetti principali per cui a oggi l’ibrido non ha ancora guadagnato abbastanza interesse è la difficoltà – spesso impossibilità – di riportare indietro i carichi di lavoro dal cloud pubblico.
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