L’amore può tutto: una massima che da sempre ispira gli antichi e che ha fatto sognare generazioni di ragazzi trova oggi un ostacolo insormontabile. La tecnologia. La tecnologia che non si lascia influenzare dai sentimenti, che vince il senso di affezione per andare avanti, inesorabile, verso il futuro, verso il nuovo, verso il rivoluzionario.
Prendiamo ad esempio il vinile. E’ stato soppiantato senza troppi giri di parole dai Compact Disc semplicemente perchè questi avevano una capacità maggiore, erano più resistenti e avevano un suono migliore. Questi però sono stati a loro volta scalzati dai file scaricabili (gli MP3) più o meno per gli stessi motivi. Quello che conta oggi non è il legame affettivo. La potenza dirompente di ogni rivoluzione sta proprio nella capacità di spazzare via il vecchio per portare il nuovo. E quando si parla di tecnologia il nuovo si afferma perchè è più conveniente.
Ma cosa c’entra tutto questo col futuro del cloud? Le due cose sono strettamente collegate secondo Matthew Finnie, CTO e Cloud Services EVP di Interoute.
Nel periodo in cui Matthew Finnie iniziò a lavorare, la sua azienda creò, in tutta segretezza, un convertitore analogico-digitale in grado di trasformare il movimento dei trasduttori posizionati su aerei, carri armati, acciaierie e missili, in segnali digitali in modo che i sistemi di controllo potessero prendere le giuste decisioni. Esistevano due approcci per fare la stessa cosa: l’approccio “Ibrido” e quello “monolitico”.
In quel periodo, il 1987, l’approccio “ibrido” ebbe la meglio. A quell’epoca il termine ibrido descriveva un componente, che per funzionare, necessitava di due diverse tipologie di silicio. Infatti “ibrido” letteralmente significa “elementi differenti”. Al contrario, “monolitico” significa “qualcosa formato di un solo blocco”. Il fatto era che il prodotto monolitico era più economico da realizzare. Non necessitava di precisione da chirurgo per montare le componenti su substrati di ceramica con interconnessioni in oro. Si basava piuttosto su un processo di semiconduttori automatizzato.
E allora tutto questo come si collega con l’attuale stato del cloud computing? Le soluzioni di cloud ibride sono molto utilizzate e caratterizzano uno status-quo dove l’attuale cloud internet-based non riesce a soddisfare le richieste per tutte le applicazioni esistenti. Così, si combina il cloud pubblico con le architetture cloud private, dove tradizionalmente sono garantite flessibilità ed elasticità per la sicurezza e il controllo.
Come in passato per i semiconduttori analogico-digitali, il mondo del cloud ibrido rappresenta però una fase di transizione, non un punto d’arrivo. Attualmente disponiamo di gruppi di unità di calcolo connessi ad una varietà di metodi di comunicazione, e non abbiamo ancora elaborato un processo per raggiungere la fase del “monolitico”. Ma lo faremo. L’attuale cloud computing è generalmente composto di tre parti, CPU elastica, RAM e disco, raggiungibili attraverso la connessione ad Internet o una rete fissa. Così come le architetture dei semiconduttori si sono evolute in passato per passare alla fase del “monolitico”, lo stesso succederà per il cloud computing, ma su larga scala a livello globale.
Il cloud non è una tecnologia, ma una modalità di ottimizzazione dinamica dei consumi rispetto alla disponibilità di risorse – la stessa evoluzione avuta dal vinile al CD, fino al download. La sfida è quindi quella di ripristinare la visione originale dei padri fondatori di una tecnologia core in grado di supportare il digitale e, quindi di riflesso, l’economia globale. Il raggiungimento di una “piattaforma di capacità di calcolo” globale e monolitica dove la rete è il computer, non è una visione, né una scelta. E’ semplicemente la realizzazione di una realtà prestabilita e supportata da un modello che, negli ultimi 50 anni, è rimasto fedelmente prevedibile.