Minsait ha una mission: quella di combinare low code, iperautomazione e process mining in un concetto di ‘Cognitive Business Operation’ che riguarda “la trasformazione end-to-end delle organizzazioni come leva per il vantaggio competitivo”. Si può riassumere così il sunto della chiacchierata con Giammaria Ripoli, Head of Digital Operations Italy di Minsait, con il quale abbiamo parlato della sempre maggiore adozione, anche in Italia, di piattaforme di sviluppo low code e di tecnologie di iperautomazione. Un processo che coinvolge il cliente a 360 gradi per una gestione globale dei processi, delle tecnologie e delle persone e di cui gli italiani non devono temere le conseguenze. Minsait è la società del Gruppo Indra leader negli ambiti della Digital Transformation e delle Information Technologies, presente nel nostro Paese con oltre 3.000 dipendenti.
“Il business delle low application platform è uno dei trend in maggiore crescita degli ultimi anni. In particolare, tra il 2020 e il 2021 è cresciuto di oltre il 23% muovendo un fatturato globale di circa 11,3 miliardi di dollari e gli analisti di mercato stimano che nel 2022 ci sarà un ulteriore incremento di addirittura il 65% – esordisce Ripoli -. Oggi circa l’85% delle organizzazioni sta già cercando di attivare o ha già attivato delle piattaforme in ambito low code”.
Ovviamente questa crescita nel tasso di adozione è legata ai vantaggi delle piattaforme di sviluppo low code. Quali sono?
“Il mondo delle low code application platform si basa su un concetto di sviluppo di applicazioni software tramite dei moduli di configurazione o interfacce grafiche che hanno una UI (User Interface) e una UX (User Experience) particolarmente gradevoli.
Questo consente di avere dei vantaggi notevoli innanzitutto per chi ha a che fare con queste applicazioni perché non è necessario avere una forte formazione tecnica”.
Oltre alla semplicità e all’usabilità quali sono i benefici delle piattaforme di sviluppo low code?
“Il mondo dello sviluppo low coding ha dei vantaggi significativi in termini di velocità e di agilità perché tramite questo sviluppo più semplice rispetto a uno sviluppo custom è possibile ridurre di molto il time-to-market, che è un indicatore sul quale i clienti sono particolarmente sensibili. A ciò si aggiunge un concetto di democratizzazione e di integrazione con tutta una serie di sistemi perché questi strumenti sono facilmente integrabili con i sistemi ERP, i CRM e le tecnologie di iperautomazione e si calano molto bene all’interno della reingegnerizzazione o del ridisegno di quelli che sono i processi ‘as is’ in maniera tale da garantire degli obiettivi di efficacia e di efficienza per il nostro utente finale”.
Tutti questi vantaggi portano ad una riduzione del time-to-market come abbiamo visto e ad un concreto ritorno sugli investimenti. Perché?
“Secondo l’esperienza di Minsait nell’adozione e nell’implementazione di piattaforme low code è possibile ridurre i tempi di progettazione e di sviluppo delle soluzioni cloud del 48% rispetto ai metodi tradizionali di scrittura dei codici, limitando anche i costi di manutenzione delle applicazioni. In generale, stimiamo che si possa essere almeno dieci volte più rapidi rispetto a uno sviluppo custom. Oltre all’ottimizzazione dei costi abbiamo anche altri vantaggi che impattano direttamente sulle funzioni aziendali interessate come, ad esempio, la standardizzazione delle procedure, la riduzione della numerosità dei processi, l’onboarding digitale dei clienti e dei dipendenti.
Questo tipo di piattaforme di sviluppo, inoltre, consente di minimizzare la curva di apprendimento e accelerare il processo di business decisionale che spesso è molto complicato senza avere a disposizione delle piattaforme che ti consentono di vedere il processo e quali dati sono trattati all’interno del processo. Contemporaneamente migliorano anche gli SLA (Service Level Agreement) interni ma anche quelli verso il cliente. In più un elemento centrale è che l’utilizzo di queste piattaforme low code garantisce una user experience particolarmente gradevole tanto che anche quegli utenti che hanno poca dimestichezza con il concetto di digitalizzazione possono toccare con mano i benefici di questa tecnologia fin dall’inizio e partecipare da subito all’attività di ridisegno del processo secondo logiche di co-design o design thinking. Quindi si sta all’interno di un ecosistema dove si va tutti verso la stessa direzione.
Tutto questo nella nostra esperienza si traduce anche in un ritorno sugli investimenti fino al 502%con ammortamenti inferiori ad un anno”.
All’interno di questo scenario ci sono altri due concetti importanti: quello di intelligent process automation (IPA) e di robotic process automation (RPA). Di cosa si tratta?
“L’intelligent process automation nasce dalla combinazione della robotic process automation (software in grado di emulare attività ripetitive e a basso valore aggiunto) con l’intelligenza artificiale, algoritmi di machine learning, di deep learning, natural language processing: tutto questo consente di avere un’intelligenza artificiale che si somma alla RPA che va a supportare il business, il back office e gli utenti nel prendere delle decisioni e nello snellire i loro processi di business con impatti significativi”.
Come sta crescendo l’adozione di queste tecnologie di iperautomazione?
“Questo è uno dei trend più in crescita tanto che entro la fine di quest’anno il 65% delle organizzazioni che ha già implementato delle attività RPA (quindi di robotica semplice) introdurrà dei layer di intelligenza artificiale per ottenere maggiore efficacia e efficienza e si stima che entro il 2024 le stesse aziende avranno un ritorno dell’investimento in termini di saving di oltre il 30%”.
Questo tipo di tecnologiche, che, come abbiamo visto, hanno dei benefici tangibili, vengono però guardate con un certo sospetto perché si teme che vadano a sostituire l’uomo mentre il loro fine è il contrario: affiancare l’uomo migliorando le sue prestazioni e rendendolo più efficiente…
“Si pensa che l’iperautomazione porti ad un aumento della disoccupazione in Italia ma in realtà non è così perché l’obiettivo dell’iperautomazione non è quello di sostituire il lavoro bensì quello di supportare le persone per migliorare la propria operatività e le proprie prestazioni eliminando le attività ripetitive a basso valore e che non hanno una natura concettuale. Lo scopo dell’iperautomazione è quello di mettersi al servizio della conoscenza e delle persone per facilitare scenari di lavoro sempre più creativi e sempre più produttivi.
Grazie all’iperautomazione è possibile, ad esempio, aiutare gli operatori a gestire un sinistro con un risparmio di decine di milioni di euro, le amministrazioni pubbliche possono migliorare il servizio al cittadino in ambiti importanti come la gestione degli aiuti pandemici, le aziende energetiche possono ottimizzare la protezione dei loro beni e delle loro infrastrutture ed inoltre, e questo è importante, come in tutte le rivoluzioni industriali (e noi siamo nella rivoluzione 4.0) queste tecnologie non devono essere vissute come qualcosa che priverà l’uomo del lavoro perché in realtà vanno ad inventare nuovi lavori: pensiamo a come questi trend hanno generato una forte crescita occupazionale di nuovi profili sempre più specializzati che oggi risultano essere tra quelli più richiesti sul mercato.”
Abbiamo visto che c’è stato un importante incremento nel tasso di adozione di queste tecnologie ma sappiamo anche che l’Italia spesso è indietro rispetto alla media degli altri Paesi. Le aziende italiane sono davvero pronte a tutto questo?
“È vero che l’Italia dal punto di vista del tasso di adozione della digitalizzazione è ancora indietro rispetto ad alcuni paesi europei però è importante sottolineare che anche in Italia tutti i decision maker e tutti i business leader stanno sentendo la pressione verso una evoluzione e stanno sempre più investendo in ambito It su ciò che può garantire un ritorno dell’investimento nel breve periodo e soprattutto su ciò che può facilitare la vita del proprio dipendente. Ecco perché oggi si parla molto di ‘digital workplace’, che non è fatto solo dalle tecnologie di iperautomazione ma anche dagli strumenti di IoT, dagli analytics, dal process mining, dai digital big data ecc.
Io credo che nell’attuale contesto di trasformazione accelerata nessuna azienda o amministrazione pubblica possa considerarsi innovativa se non include nel suo futuro l’inserimento di una strategia di automazione avanzata. Questa permette di standardizzare i processi per ottenere più dati per offrire una migliore esperienza al cliente, ottimizzare ad esempio le attività di customer care e ridurre quelle che sono le inefficienze che spesso vengono generate da attività ripetitive e possono creare un impatto in termini di livello di servizio sia interni che verso i clienti finali. Quindi i robot e gli algoritmi e le piattaforme low code non sono una minaccia se si è preparati al cambiamento ma sono anzi un aiuto nel raggiungimento della competitività strategica che ogni azienda vuole avere”.
Gettando un occhio al futuro come si evolveranno le piattaforme low code e questi sistemi di iperautomazione?
“Raggiungere elevati livelli di investimento mantenendo la robustezza del sistema e la coerenza delle mappe applicative richiede soprattutto partner specializzati nelle integrazioni. Ciò per le aziende si traduce nel collaborare con dei player in grado di progettare e realizzare delle soluzioni end-to-end con un approccio olistico con un focus particolare nelle quattro aree di specializzazione che a mio avviso saranno la forza trainante delle piattaforme low code nei prossimi anni. Una è la user experience perché il concetto di un uso semplice della piattaforma da parte dell’utente è quello che consente di essere vincenti come progetto. Due: la mobilità e le applicazioni multidevice e di backoffice perché oggi lo smart working è fortemente aumentato e quindi abbiamo bisogno di poter essere operativi in qualsiasi punto del pianeta indipendentemente dal fatto che ci troviamo in ufficio, a casa o fuori casa. Tre: la robotizzazione e l’iperautomazione dei processi interni e di business e per questo ormai si parla di business process automation, dello sviluppo di agenti virtuali basati sulla linguistica computazionale, dei bot di assistenza all’utente e della data governance. Ultimo strumento che a mio avviso è molto potente è il process mining: una tecnica del process management che consente di definire quelle che sono le strategie migliori per un’azienda. L’applicazione, ad esempio, delle principali piattaforme low code per alcune di queste aree ha permesso per una azienda nostro cliente leader nel settore dell’energia di centralizzare il proprio customer care per oltre 9.000 clienti in tempo record e riducendo di oltre il 75% il tempo medio di gestione e di elaborazione delle richieste crescenti con un saving di oltre 6.500 ore. Un altro esempio è che una grande banca, sempre attraverso il low code, ha automatizzato oltre 50 processi core di prevenzione del riciclaggio utilizzati da oltre 3.000 utenti di back office e ottenendo un’ottimizzazione nel 70% dei casi di identificazione e risoluzione dei reclami”.
Focalizziamoci meglio ora su Minsait: chi è e cosa propone?
“Minsait è la società che raggruppa il business IT e di trasformazione digitale del Gruppo Indra. Siamo circa 52 mila persone sparse in tutto il mondo con una forte presenza in Europa e in America Latina.
Oggi fare intelligent process automation o promuovere piattaforme di low coding vuol dire avere una gestione olisitica, cioè una gestione end-to-end del processo e del cliente. Minsait è più di un partner tecnologico: vuole distinguersi per essere un partner che accompagna i clienti nel processo più ampio di trasformazione digitale, dalla consulenza di processo, alla progettazione all’ottimizzazione e il monitoraggio dei progetti complessi in un unico sistema integrato. E per questo il nostro slogan è ‘think big, start small, scale quickly’, che è un vero e proprio modello di lavoro”.
Ci spieghi meglio…
“Think big si rifà al fatto che spesso abbiamo clienti che vogliono automatizzare ma non sanno da dove partire. A questo punto quello che propone Minsait è lo start small: abbiamo un approccio gerarchico e andiamo a identificare quelle che possono essere le opportunità di automazione principali. Su queste selezioniamo un sotto perimetro e andiamo a proporre dei pilot o dei proof of concept che ci consentono in un paio di settimane di tornare dal nostro cliente e di fargli toccare con mano quelli che saranno i più ampi benefici dell’automazione.
Questo approccio è utile perché ci consente di supportare quello che è il nostro referente lato cliente, che spesso è influencer ma non è decision maker, nello sponsorizzare quella che è l’iniziativa di automazione e nel portare a bordo quelli che sono gli utenti e il business, che è spesso l’attore più reticente nell’abilitare queste tematiche di automazione.
L’ultimo step è lo scale quickly cioè la possibilità di creare con il cliente un journey, un viaggio di trasformazione digitale, che impatta non soltanto dal punto di vista di processo ma che ha un impatto sulla cultura aziendale, sul change management, sull’organizzazione, sulle persone… E per questo diciamo che un buon progetto di automatizzazione è un ottimo processo di change management: perché tutti questi processi hanno un impatto sull’organizzazione dell’azienda. L’Italia e le aziende italiane devono essere pronte al cambiamento e per farlo non deve esserci solo qualcuno che vende la tecnologia: è necessario anche vendere il modo in cui questa tecnologia supporta poi il business nel cambiamento”.
Può farci qualche altro esempio di clienti che hanno scelto Minsait ottenendo quei benefici di cui abbiamo parlato all’inizio?
“Tra le nostre principali referenze abbiamo la robotizzazione della gestione degli incidenti per la vulnerabilità degli asset presso un importante operatore di telecomunicazioni che ci ha permesso di risparmiare 6.000 ore di lavoro all’anno raggiugendo un tasso di errore prossimo allo zero per cento. Per una pubblica amministrazione abbiamo implementato un sistema di download per i moduli di dichiarazione dei redditi che è riuscito a ridurre i tempi di operazione da dieci minuti a pochi secondi riducendo il tasso di errore del 90%. Per un importante gruppo assicurativo abbiamo completamente automatizzato la gestione dei sinistri con un’interpretazione semantica combinata con il robotic process automation che ci ha consentito di gestire il sinistro dalla sua apertura alla sua liquidazione con un saving di oltre il 40% per la compagnia.
Altri casi significativi arrivano non solo dall’iperautomazione ma anche dall’utilizzo delle piattaforme low code. Ad esempio, tra le referenze degne di nota c’è la centralizzazione a tempo record del servizio per oltre 9.000 utenti di una delle più importanti compagnie energetiche al fine di rispondere più rapidamente alle loro richieste e con questo approccio una grande banca è riuscita a permettere che gli stessi utenti dell’area operativa sviluppassero in autonomia i propri processi portando all’automazione di oltre 700mila task”.
Come abbiamo visto per affermare questo modello è importante anche il ruolo dei partner, che devono essere specializzati nell’integrazione delle principali piattaforme presenti sul mercato. Minsait come si sta muovendo?
“Minsait cerca di essere un partner che accompagna il cliente a 360 gradi verso un processo di trasformazione digitale. Le nostre parole chiave sono tre.
Digital: che per noi vuol dire creare un ecosistema di business efficace ed efficiente. Integrati: che per noi vuol dire gestire le relazioni tra persone, processi e tecnologie perché soltanto in questo modo si riesce ad essere vincenti. Intelligent cioè essere intelligenti e sfruttare ciò che di meglio il mercato ci mette a disposizione.
In generale Minsait sta cercando di veicolare la trasformazione digitale dei clienti con una fortissima attenzione alla gestione del cambiamento perché come tutte le rivoluzioni industriali questo ha un impatto sulle persone, sulla mentalità e sui processi. Per essere vincenti oggi devi essere in grado di accompagnare con mano il tuo utente dall’inizio alla fine”.
Per finire, quali sono gli obiettivi di Minsait per quest’anno?
“Gli obiettivi sono quelli di continuare a cavalcare questi trend proponendo delle use case che ormai abbiamo consolidato e sono trasversali perché le use case consentono di essere particolarmente dirompenti verso i nostri clienti e soprattutto consentono ai nostri clienti di beneficiare della scalabitlià. Oggi abbiamo clienti che vogliono qualità ma anche e soprattutto un time-to-market particolarmente ridotto e vogliono essere supportati nei loro business case per poter raggiungere dei break even in tempi rapidi per dimostrare che l’automazione è la strada giusta e che i clienti avranno quel concetto di caring per un supporto alle loro attività. Stiamo quindi continuando da questo punto di vista e stiamo cercando di coniugare la tecnologia con i processi e le persone. Questo crediamo che sia il nostro punto di forza. Puntiamo a combinare low code, iperautomazione e process mining in un concetto che chiamiamo cognitive business operation che riguarda la trasformazione end-to-end delle organizzazioni”.