Quando si affidano i propri dati ad aziende smart, accadono cose straordinarie. È questo l’ambito in cui è nato AI for good. Siamo entrati in un mondo dove i dati disponibili sono superiori alle capacità del cervello umano: sia che questi dati siano utilizzati in un’auto a guida autonoma, oppure per guidare il comportamento d’acquisto online dei consumatori, o ancora per raccomandare l’uso di equipaggiamento protettivo PPE (Personal Protective Equipment, ndt), essi rappresentano il prossimo passo nell’evoluzione dei dati stessi.
Oggi l’AI è un elemento prevalente nel business, poiché contribuisce a elevare l’analisi dei dati e aiuta ad analizzare problemi profondamente condizionati dai dati. Tuttavia, la nozione di “AI for good” sta solo ora guadagnando la massima attenzione. Nella sua essenza, “AI for good” applica lo stesso livello di tecnologia enterprise e di pensiero delle imprese, realizzando qualcosa che reca beneficio sia alla società che alle comunità.
Gli insight guidati dai dati possono offrire molti benefici
Ai vecchi tempi si poteva prendere un foglio elettronico, analizzarlo e assumere qualche decisione per il bene dei nostri team e delle persone. Oggi, però, a causa della dimensione dei dati, è necessario utilizzare tecnologie quali il machine learning, una componente dell’AI, per aiutare noi umani a imparare cose dai dati che non sono ovvie né immediate. Quando si applica questo modo di agire al “fare del bene”, si possono cominciare a costruire dashboard specifiche, come quella creata da TIBCO, che offre insight visuali sull’attuale pandemia globale.
In un mondo dove AI e machine learning sono fondamentali per come visualizziamo le informazioni disponibili, possiamo porre insight guidati dai dati nelle mani di una maggiore varietà di persone, rendendo testimonianza alla democrazia degli analytics. Quando si “democratizza” qualcosa, se ne espande la portata e si apre a chiunque abbia accesso a quella cosa, rendendo i dati più diffusi e le applicazioni ad essi collegate più pervasive. Non è possibile oggi attivare un canale di notizie senza usare qualche tipo di dashboard visuale che serva a presentare i dati in un modo o nell’altro.
Un ottimo esempio di ciò è costituito dal dashboard dedicato a una classifica degli enti caritativi redatta sulla base dell’ammontare dei contributi finanziari che essi destinano ad azioni propriamente caritatevoli, rispetto a quanto invece utilizzano per esigenze proprie. Unificando la grande mole di dati disponibili su questi enti caritativi, il pubblico può decidere dove voglia spendere il proprio denaro in base a ciò che più si attaglia alla propria natura caritatevole e che lo rende felice. Una parte essenziale degli analytics avanzati è rendere evidenti informazioni che prima non lo erano. Quando si applica questa caratteristica alle opere di bene accadono cose davvero emozionanti.
Abbiamo realizzato un progetto in cui abbiamo analizzato l’impatto delle multe per sosta vietata in una città e i dati hanno evidenziato come la struttura delle multe fosse straordinariamente punitiva quando venivano comminate a persone con un reddito basso. In altri termini, le persone con un reddito più basso venivano punite in modo sproporzionato dalle multe per sosta vietata rispetto a chi aveva mezzi finanziari più significativi. Quando abbiamo presentato l’evidenza agli amministratori cittadini, essi hanno apportato modifiche al processo. Perché questo è bene? Quando si comincia a togliere l’ingiustizia da un’equazione, si stanno applicando le analytics e l’AI per il bene.
La conoscenza è potere
Non sempre è possibile comprendere i dati e questo può rappresentare una sfida, sia che li si utilizzi per innovare un’impresa o per realizzare azioni caritatevoli. Le persone si affidano ancora troppo alla tecnologia e danno poca enfasi alle persone e alla cultura; mentre miglioriamo nella comprensione dei dati e stiamo arrivando a misurare qualsiasi cosa, la cultura e le persone non sono ancora parte dell’equazione.
Una cosa è avere dati da mostrare in un grafico o su un cruscotto: spesso sono gli umani a dover decidere e agire sulla base di quei dati. La tecnologia è disponibile, la cultura si sta evolvendo così come le persone, ma quando i tre elementi si incontrano nello stesso punto, ecco che si riesce ad avere l’orchestra al completo, che suona a tempo e con la stessa intonazione. Si tratta di un aspetto particolarmente rilevante quando si utilizza l’AI per il bene, poiché il tutto ruota attorno alle persone e alle azioni presentate nei dati piuttosto che alla tecnologia.
Recentemente abbiamo lavorato con una società Sudafricana, Data-Shack, che sta utilizzando analytics avanzati per tenere sotto controllo le vendite, la distribuzione e l’utilizzo delle armi impiegate nella caccia di frodo ai rinoceronti. Andando alla fonte, sono stati in grado di creare pattern nei dati in modo da poter aiutare le autorità a stabilire misure preventive per contrastare il bracconaggio in sé.
In breve, AI for good permette alle aziende di trovare strade migliori per ingaggiare non solo i propri clienti, ma anche i propri partner, vendor e persino le comunità in cui vivono.
Allearsi per un bene più grande
Le organizzazioni che riescono a realizzare grandi cose con i propri dati sono le stesse che si alleano per realizzare AI for good. Ci sono molte componenti attive per ottenere valore dai dati e le società caritative, istituzioni no-profit o educative non hanno bisogno solo dell’Intelligenza Artificiale: hanno bisogno di partner. Questi soggetti si affidano a un ecosistema che li supporti.
“AI per il bene” si affida al collegamento dei dati, alla loro unificazione intelligente e poi al loro utilizzo per predire in modo affidabile risultati che portino ad azioni significative che impattino la nostra gente, le nostre comunità e persino il nostro ambiente.
Di Shawn Rogers, Vice President Analytic Strategy, TIBCO