Le singole applicazioni software sono progettate ciascuna per il proprio scopo ma oggi sempre più devono essere in grado di funzionare l’una con l’altra. Per rispondere ai nuovi bisogni delle organizzazioni, in Italia, come nel resto del mondo, sta sempre più prendendo piede un approccio di integrazione applicativa, che prevede la sincronizzazione e automatizzazione delle applicazioni finalizzate alla realizzazione di un processo. Una strategia che aiuta le imprese a migliorare la propria competitività e ha anche indubbi vantaggi economici, ma che presenta ancora molte criticità.
Per questo motivo è più importante che mai farsi guidare nel mondo dell’integrazione delle applicazioni da player fortemente skillati, che accanto alle competenze tecniche vantano anche delle competenze funzionali e operative e capaci di affiancare il cliente con attività di consulenza e progetti studiati su misura.
Queste tematiche sono al centro dell’intervista rilasciata a LineaEDP.it da Mirko Gubian, Global Demand Senior Manager di Axiante, con il quale abbiamo parlato dello scenario attuale, futuro, e di quali sono gli elementi necessari, anche (ma non solo) dal punto di vista tecnologico, per arrivare ad una integrazione applicativa vincente.
Che cos’è in concreto l’integrazione delle applicazioni?
“Ogni applicazione nasce con uno scopo ed un obiettivo ben preciso ma oggi è necessario che le applicazioni lavorino insieme. Integrazione applicativa significa proprio sincronizzare applicazioni che fanno cose diverse tra loro per realizzare e automatizzare uno specifico processo. Le applicazioni integrate, quindi, sono applicazioni che cooperano per realizzare un processo”.
Molto spesso il termine integrazione delle applicazioni è considerato sinonimo di integrazione/orchestrazione dei dati: in realtà in cosa differiscono questi due concetti?
“La differenza sta nell’obiettivo finale più che nelle metodologie e nei tecnicismi. Come abbiamo visto l’integrazione applicativa si concentra sulla sincronizzazione di applicazioni allo scopo di automatizzare un processo mentre l’orchestrazione dei dati si concentra sul dato (come viene estratto, trasformato e trasferito).
Lo scopo principale dell’integrazione applicativa è quindi quello di automatizzare processi: il focus è sulle funzionalità delle diverse applicazioni, che devono essere collegate tra loro e devono dialogare in real-time. C’è quindi un’integrazione funzionale.
Nell’orchestrazione dei dati l’obiettivo è il dato stesso e lo scopo è quello di alimentare un sistema di reporting concentrandosi sulla sorgente dei dati, su come vanno armonizzati, analizzati e trasformati per estrarne valore, accettando anche un disallineamento temporale tra quando il dato viene generato e quando viene analizzato”.
Perché oggi ha senso investire nell’integrazione applicativa? Quali sono i vantaggi per le organizzazioni?
“Il vantaggio principale di chi investe in integrazione applicativa è la crescita della competitività che deriva dalla maggiore agilità e capacità di adattarsi in maniera rapida ai cambiamenti repentini del mercato. Una buona integrazione delle applicazioni, infatti, rende le imprese più flessibili e scalabili perché applicazioni integrate correttamente sono più semplici da inserire in processi che cambiano. Di fronte ad un cambiamento non andranno riviste tutte le applicazioni ma andranno cambiati solo i processi.
Un altro elemento da non sottovalutare è la riduzione dei costi connessa all’aumento dell’efficienza operativa: processi più snelli e che possono essere trasformati più velocemente portano a una maggiore efficienza e a una migliore esperienza dell’utente nell’interazione con le applicazioni, con un’ottimizzazione dei tempi.
Ci sono poi vantaggi più specifici a seconda del tipo di mercato che prendiamo in considerazione. Ad esempio, l’integrazione utilizzata per migliorare la compliance normativa permette di avere un unico punto di visione dove poter controllare in maniera immediata se l’azienda ha il diritto o meno di trattare e tenere delle specifiche informazioni o se queste vanno eliminate perché l’utente non ha prestato il suo consenso”.
Un altro possibile vantaggio deriva dal fatto che l’integrazione delle applicazioni aiuta le aziende a colmare il divario tra i sistemi on-prem esistenti e quelli basati su cloud. Perché?
“Qui entra in gioco il concetto di interoperabilità perché molti sistemi on-prem, legacy, sono stati progettati quando l’integrazione applicativa non era sviluppata come lo è adesso, anche se esistono software di terze parti capaci di posizionare sopra a un sistema legacy, come un mainframe, un sistema per colloquiare le altre applicazioni”.
E qual è il vantaggio di introdurre un sistema di questo tipo nell’aziende?
“Possiamo immaginare il mainframe come un monoblocco dove le singole funzionalità sono monolitiche. Far interagire questo sistema con altre applicazioni diventa utile per un’azienda che vuole abbracciare un modello più moderno perché tramite questa operazione si va a scalfire un po’ per volta questo blocco unico in maniera indolore, rendendolo progressivamente più agile e flessibile, con i vantaggi che ne derivano.
Uno dei modi per colmare il divario tra l’on-prem e il cloud è proprio quello di smontare in maniera intelligente quello che prima era il monoblocco che non dialogava con gli altri sistemi o dialogava semplicemente trasferendo dati, ma non in una logica di processo e non in real-time”.
In Italia come sta il mercato dell’integrazione delle applicazioni?
“L’Italia si allinea al resto dell’area EMEA: il mercato dell’integrazione applicativa è in evoluzione ma c’è ancora molto da lavorare. Le prime ad evolvere in questo senso sono state ovviamente le grandi aziende che hanno a disposizione investimenti maggiori ma oggi anche le piccole e medie imprese stanno progressivamente andando in questa direzione. Uno dei driver maggiori è stata l’Industria 4.0 perché automatizzando la parte di produzione e rendendo ogni dispositivo un generatore di dati grazie all’IoT, si è reso necessario modernizzare l’aspetto gestionale per un’ottimizzazione dei processi: è diventato fondamentale poter contare su un sistema che permetta di portare in casa in tempo reale tutte queste informazioni generate dai device di produzione”.
Come funziona in concreto l’integrazione applicativa?
“La prima cosa da fare per una corretta integrazione delle applicazioni è capire quali sono i processi che si vogliono andare ad integrare e sulla base di questi scegliere l’ambito tecnologico migliore in cui integrarli (quindi individuazione dei protocolli e delle modalità con cui le applicazioni andranno a parlare tra loro).
Successivamente entra in gioco un aspetto infrastrutturale cioè occorre scegliere l’infrastruttura in cui vogliamo muoverci perché, se ad esempio ci troviamo in un ambiente ibrido, bisognerà consentire alle connessioni on-prem di colloquiare con gli ambienti in cloud in maniera sicura.
Una volta considerate queste variabili si darà il via ad un progetto di realizzazione software come tutti gli altri, tenendo un focus sempre molto alto sulla scalabilità della soluzione e sulla possibilità di ottimizzarla nel corso del tempo”.
Che tipi di integrazione esistono tra le applicazioni?
“La più diffusa, soprattutto in ambito di applicazioni gestionali, è la parte di integrazione di API: API Restfull (le più recenti) o API soap (le meno recenti ma ancora diffuse in molti ambienti).
A seguire c’è tutto il tema di integrazione dei dispositivi IoT, che pur utilizzando gli stessi protocolli utilizzano dei sotto-protocolli differenti più legati alla messaggistica; protocolli il cui obiettivo per ovvi motivi è quello di richiedere meno energia possibile nella comunicazione.
Infine, c’è la parte di integrazione e sincronizzazione lato database e quella per la creazione di un workflow applicativo andando ad integrare applicazioni diverse utilizzando strumenti di mercato che vanno customizzati”.
Axiante, Business Innovation Integrator, come si inserisce in questo contesto? Qual è la sua strategia?
“Axiante vanta una business unit, Axiante Digital, che nasce proprio con lo scopo di indirizzare le tematiche di integrazione applicativa, oltre che di realizzazione delle applicazioni, in maniera complementare alle business unit Integra e Data Driven che invece si occupano della parte di integrazione dei dati.
Axiante Digital, che comprende una ventina di persone dedicate con competenze funzionali e tecniche, sposa in toto un approccio cloud-first: tutte le applicazioni che realizziamo, vecchie o nuove, e che integriamo devono essere integrate attraverso il modello cloud. Devono quindi essere scalabili e portabili all’interno dell’infrastruttura di qualsiasi vendor, oltre che essere agnostiche nei confronti di qualsiasi cloud vendor.
Questo discorso vale anche per le applicazioni che il cliente chiede di realizzare e di mantenere on-prem perché devono essere già cloud-ready così da poter essere portate in cloud quando il cliente stesso lo ritenga opportuno a seconda della sua precisa strategia di transizione verso il cloud, che avviene ovviamente per gradi”.
Qual è il fine della vision di Axiante?
“Axiante lavora per realizzare applicazioni sempre più focalizzate ma interoperabili tra di loro, il tutto all’insegna della compliance con gli standard di sicurezza.
L’obiettivo di Axiante è quello di mantenere tutto interoperabile, scalabile, cloud first, agnostico rispetto al vendor ma al contempo sicuro, cercando di avere una visione il più semplice possibile, che si traduce in una semplificazione dei processi di integrazione e nella creazione di una infrastruttura il più lineare possibile”.
Qual è invece l’offering di Axiante?
“A parte lo sviluppo di applicativi cloud native custom per i nostri clienti, Axiante è molto focalizzata sulla parte di servizi di migrazione con la possibilità di creare applicazioni on-prem già pronte per il cloud, quindi con elevati livelli di flessibilità come dicevamo.
I clienti ci richiedono questo perché molte aziende hanno una strategia cloud ma sono vincolate dalle applicazioni legacy che hanno in casa. Quindi il primo passo della transizione verso il cloud prevede la rimozione di questo vincolo, anche se magari la migrazione effettiva avverrà più in là nel tempo.
Axiante fornisce poi attività di consulenza e formazione su queste tematiche per diffondere la cultura generale presso i nostri clienti e prospect e ovviamente fornisce attività di supporto, monitoraggio e analisi sulle applicazioni che realizza e prende in carico, introducendo una parte di innovazione continua aiutando il cliente ad individuare i pain e i miglioramenti possibili”.
Per finire quali sono le sfide ancora aperte legate all’integrazione applicativa? Axiante come si muove in questa direzione?
“Una delle sfide maggiori è la complessità crescente legata alla realizzazione di applicazioni flessibili ed interoperabili: l’obiettivo è quello di mantenere l’architettura il più semplice possibile proprio perché ci troviamo all’interno di un ambiente dove la complessità cresce giorno dopo giorno.
Esistono inoltre tematiche di standard e protocolli eterogenei e qui la sfida è quella di mantenere un’unica linea.
Una delle altre grandi sfide è quella relativa alla sicurezza e alla privacy dei dati, che rappresenta una delle maggiori preoccupazioni per le aziende.
Per fronteggiare questo scenario l’unico vero investimento che può fare Axiante è una formazione continua delle sue risorse: siamo fermamente convinti che per vincere in un mondo che evolve alla velocità della luce occorre mantenere le risorse continuamente formate”.
Cosa fate in concreto?
“Innanzitutto, procediamo con l’acquisizione di formazione dall’esterno ma abbiamo anche dei programmi interni che mirano a far dialogare le persone di BU diverse per una contaminazione delle diverse culture nei vari gruppi di lavoro.
Infine, recentemente, Axiante ha lanciato un’Academy interna per la formazione delle nuove risorse prima che queste vengano affiancate dai consulenti aziendali”.