Quasi quattro anni di attesa. Ma alla fine la verità è venuta a galla. Yara Gambirasio ha trovato la sua pace: come ormai noto, infatti, la ricerca dell’assassino della – all’epoca – tredicenne ha dato i suoi frutti. Decisiva si è dimostrata la traccia di Dna maschile ritrovata sugli slip della ragazza il 15 giugno del 2011. Il quarantenne bergamasco colpevole dell’omicidio è stato incastrato proprio dalla sovrapponibilità del suo acido desossiribonucleico con quello ritrovato precedentemente. Epilogo che riconduce ad altri due casi di cronaca nera: il delitto dell’Olgiata ed il caso Elisa Claps, entrambi rimasti insoluti a lungo, poi risolti con perizie genetiche.
Una magra consolazione, certo. Ma un barlume di giustizia ha fatto breccia nell’oscurità che avvolge il caso.
Analisi del Dna, dunque, la chiave per la verità. Ancora una volta. Questo il motivo per il quale, nel 2005, i Paesi dell’Unione si sono accordati sulla raccolta del patrimonio genetico di soggetti pericolosi. Tra essi, anche l’Italia. Nel 2009 l’intesa diventa legge: al Ministero dell’Interno è affidata la gestione della banca dati, a quello della Giustizia, attraverso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il compito di dare vita al Laboratorio nazionale del Dna. Laboratorio che prende forma solo agli inizi dello scorso anno, nel 2013. Costo complessivo: 16 milioni di euro; risultati: zero. Già, perchè i casi sopracitati sono giunti all’epilogo grazie a campioni singolarmente prelevati ed analizzati, non con l’ausilio di una banca dati del Dna. Banca che, a causa di una burocrazia dai tempi estremamente estesi, non ha ancora raggiunto l’operatività.
Codis: dalla Svizzera agli Stati Uniti
Come ci dimostrano altri Paesi nel mondo, il ruolo delle banche dati tecnico scientifiche nell’ambito delle indagini giudiziarie è senz’altro di rilievo. Potremmo analizzare il caso svizzero per cominciare: dal suo sviluppo negli anni Ottanta del ventesimo secolo, la tecnica per l’analisi del Dna è progressivamente diventata uno strumento importante per le autorità di perseguimento penale, fino ad arrivare al luglio 2000, mese in cui è stata creata una banca dati sui profili del Dna, denominata Codis (Combined Dna Index System). In questa banca dati si possono registrare profili del Dna di autori di reati e persone sospette o delle tracce rinvenute sul luogo di un reato. Il sistema consente in tal modo confronti automatici ad ampio raggio fra i profili del Dna, che permettono di individuare soprattutto i reati commessi da autori seriali, recidivi e da gruppi che operano in modo organizzato. Alla fine del 2013, nella banca dati Codis svizzera erano registrati 159’575 profili di persone e 49‘203 tracce rinvenute sul luogo del reato.
Potremmo spingerci anche oltreoceano: negli Stati Uniti, il Codis fu istituito in via sperimentale nel 1990 e usato inizialmente solo da quattordici stati e da laboratori locali; successivamente, nel 1994, il Dna Identification Act autorizzò formalmente l’ Fbi a creare un sistema nazionale di Databanking del Dna che divenne definitivamente operativo nel 1998.
Quando un software incastra i criminali…
Ma, come opera il Combined Dna Index System? Il Codis è un database strutturato in modo gerarchico: il suo contenuto è frutto della raccolta di dati confluenti da archivi di carattere statale e locale.
Il software è in grado di contestualizzare il riscontro richiesto dall’operatore, elaborando i dati in relazione a determinati parametri oggettivi. Nello specifico è possibile effettuare ricerche sulla base delle caratteristiche del reato commesso e di conseguenza confrontare il profilo rinvenuto sul luogo del crimine con dati appartenenti a soggetti condannati per un reato determinato affine a quello per il quale si svolgono le indagini.
Un software che incrocia migliaia di dati per la Giustizia. L’It, dunque, al centro del ‘sistema banca dati’. Ma riguardo quest’ultimo, c’è chi ancora tira in ballo la privacy e la sua tutela. Affare intricato dunque, ma con una adeguata regolamentazione anche in Italia si potrebbe arrivare ad un giusto compromesso. Perché in ballo c’è la verità. E tutti noi, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo rimosso il confine tra pubblico e privato per molto meno, e per questioni decisamente più futili.