[section_title title=LizardStresser o il pericolo dell’IoT – Parte 2]
Le cose cambiano con i dispositivi IoT. Essi sono i bot DDoS ideali per una varietà di motivi:
– Utilizzano tipicamente una versione embedded o ridotta di un sistema operativo ben conosciuto come Linux. Il malware può essere facilmente adattato all’architettura del dispositivo target.
– Se sono collegati a Internet, molto facilmente dispongono di accesso totale alla rete senza limitazioni di bandwidth né filtri.
– La versione ridotta del sistema operativo e la limitata potenza di calcolo della maggior parte dei dispositivi IoT lasciano meno spazio per le funzionalità di sicurezza, tanto che la maggior parte delle violazioni non viene notata nemmeno dagli utenti.
– Per poter risparmiare tempo di ingegnerizzazione, i fabbricanti di dispositivi IoT riutilizzano talvolta le stesse porzioni di hardware e software su differenti classi di dispositivi. In conseguenza di questo riutilizzo del software, le password di default adoperate per gestire inizialmente un determinato dispositivo potrebbero essere condivise tra categorie di dispositivi completamente diverse.
Quest’ultimo punto relativo al riutilizzo delle password di default su più classi di dispositivi risulta particolarmente interessante per i malintenzionati. Una semplice variante di LizardStresser che si avvalga di queste ben conosciute password di default spiana la strada verso un gruppo completamente nuovo di potenziali vittime.
Scenari di attacco: il Brasile e i siti di gaming L’ASERT ha tenuto sotto controllo due server di LizardStresser che pensiamo siano gestiti dal medesimo gruppo di malintenzionati. Sebbene tra di loro parlino in inglese, i loro bersagli principali riguardano soggetti aventi interessi in Brasile e i siti di gaming di tutto il mondo:
– Due grandi banche brasiliane
– Due compagnie di telecomunicazione brasiliane
– Due enti pubblici brasiliani
– Tre grandi società di videogiochi con sede negli USA
In un caso abbiamo potuto osservare i comandi di attacco trasmessi da un server di LizardStresser e correlarli con altre informazioni relative all’evento. L’attacco ha superato i 400 Gbps con diverse migliaia di indirizzi di origine. Il traffico di attacco corrispondeva esattamente a quanto prodotto dal generatore di LizardStresser: una stringa composta da lettere maiuscole. E’ interessante notare che i pacchetti degli attacchi non sembrano cercare di nascondersi, cioè che gli indirizzi sorgente presenti nei pacchetti siano effettivamente quelli degli apparati IoT compromessi.
Abbiamo poi visto come gli attaccanti fossero rapidi a far evolvere le proprie tattiche di minuto in minuto: da un flood di comandi HOLD a un flooding UDP e quindi a un flooding TCP con una varietà di flag. La parte UDP degli attacchi era ulteriormente caratterizzata da un’origine nelle porte UDP più alte verso la porta di destinazione UDP/443 con pacchetti di dimensione pari a circa 1400 byte.
Gli attacchi sono stati lanciati soprattutto dal Vietnam e in subordine dal Brasile, mentre le vittime erano sparpagliate in tutto il resto del mondo. Inviando un pacchetto HTTP “GET /” alla porta TCP 80 delle macchine attaccanti, abbiamo notato come quasi il 90% degli host che hanno risposto riportassero il titolo HTML “NETSurveillance WEB”.
Dopo qualche ricerca più approfondita, abbiamo scoperto che l’interfaccia NETSurveillance WEB sembra riferirsi a un codice generico utilizzato da una serie di webcam accessibili via Internet. La password di default per l’utente root è reperibile online, e telnet è abilitato come standard. Siamo convinti che i malintenzionati abbiano adattato il codice di LizardStresser per sfruttare questa password di default dei dispositivi IoT basati sul codice NETSurveillance.
La versione di LizardStresser disponibile pubblicamente genera in maniera casuale gli indirizzi IP da infettare, ma è possibile che il codice sia stato successivamente modificato per focalizzarsi su determinate aree geografiche. Un’altra possibilità è che Vietnam e Brasile siano i Paesi con la maggior diffusione di dispositivi IoT dotati del codice NETSurveillance.
In conclusione. LizardStresser sta diventando il botnet preferito per i dispositivi IoT grazie alla semplicità con cui è possibile apportare piccole modifiche al codice di scansione. Con una minima ricerca delle password di default dei dispositivi IoT è possibile arruolare un intero gruppo di vittime all’interno di una botnet. Arbor ha osservato l’invio di comandi di attacco dai server di LizardStresser verso i dispositivi IoT e i conseguenti attacchi DDoS fino a oltre 400Gbps senza ricorso a meccanismi di riflessione/amplificazione, un risultato notevole reso possibile da un’informazione -le password di default- pubblica ma finora trascurata.