Per garantire la crescita del Paese e valorizzarne le eccellenze la digitalizzazione è sempre più un obiettivo imprescindibile.
Lo conferma anche The Innovation Group (TIG), che ha di recente presentato il Rapporto annuale DIGITAL ITALY 2018: Costruire una Nazione Digitale, edito da Maggioli Editore.
Realizzato attraverso una ricerca condotta su un campione di 113 aziende attive sul territorio italiano, oltre a indagare i modi in cui è possibile costruire una “Digital Nation”, il Rapporto ha messo in luce le possibili direttrici dell’innovazione per il Paese, valorizzando l’importanza del digitale in questo processo.
Dal reset alla grande sfida
Ne è emerso che l’anno che sta concludendosi ha registrato una specie di “tempesta perfetta”: le profonde trasformazioni economiche e sociali indotte dal digitale si sono inserite in un quadro dominato a livello internazionale da una flessione della crescita particolarmente sensibile nel nostro Paese, che ha vissuto in parallelo una radicale discontinuità di Governo.
Per questo motivo, per TIG, è possibile senz’altro definire il 2018 come “l’anno del grande reset”. Diversi fattori di discontinuità convergono infatti a determinare cambiamenti profondi, talora drammatici, che si concentrano in questo ristretto lasso temporale: fattori tecnologici, economici e politici.
In questo quadro, l’economia dei dati, delle piattaforme e l’Intelligenza Artificiale vengono ad assumere rapidamente un ruolo chiave nella trasformazione dei modelli di business delle imprese e nella nascita di nuovi Ecosistemi.
Molti episodi, in primis il caso Cambridge Analytic, hanno tuttavia mostrato in tutta la sua evidenza la precarietà di questo nuovo mondo finora privo di regole chiare e condivise. Il GDPR ha cominciato a mettere ordine in questa specie di Far West dei dati e a proporsi come la baseline della regolamentazione a difesa della privacy non solo in Europa ma sui mercati internazionali, imponendo però un salto qualitativo nei sistemi di controllo della Imprese e delle Pubbliche Amministrazioni.
Gli ultimi dati Istat evidenziano da una parte il recupero dei livelli di occupazione – salvo una battuta d’arresto nell’ultimo trimestre – ma dall’altra una profonda trasformazione del lavoro, in cui si diffondono sempre più forme di lavoro flessibile e/o precario, mentre il digitale tende a dissolvere la distinzione fra molte forme di lavoro manuale e di lavoro intellettuale.
Infine, nel mondo della Pubblica Amministrazione si evidenzia un gap crescente fra le eccellenze digitali di alcuni territori e il “ventre molle” che caratterizza ancora la grande maggioranza delle situazioni, mentre il risultato elettorale delle ultime elezioni ha portato all’affermazione di una coalizione di governo completamente nuova, con nuove priorità, nuove politiche e nuovi progetti, destinati ad avere una profonda influenza sul mercato e sull’industria del digitale.
Gli investimenti che non devono mancare
Alla domanda: in che modo il digitale può contribuire allo sviluppo del Paese?, la risposta che sorge spontanea è che l’impatto sarà tanto più positivo quanto più la componente degli investimenti in infrastrutture sarà elevata nel complesso della manovra, e quanto più saranno rafforzate le politiche industriali.
In quest’area, fanno notare dal TIG, sarà importante non solo il mantenimento delle misure previste da Industria 4.0, ma anche l’estensione all’area dei servizi e della formazione, che dalle ultime informazioni pare tuttavia non essere prevista dalla manovra.
Alcuni interventi concreti sono previsti all’interno del Disegno di Legge di Bilancio come un fondo ad hoc per le tecnologie di Intelligenza Artificiale, Blockchain e Internet of Things, con una dotazione di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021.
IT, digitale e innovazione: a che punto sono le aziende italiane?
I risultati della survey “IT, DIGITALE E INNOVAZIONE” realizzata da TIG intervistando i manager di 113 aziende attive sul territorio italiano hanno evidenziato come in alcuni ambiti cresce l’attenzione verso nuovi modelli di gestione e accesso alle risorse informatiche, ma queste restano relegate ancora ad ambiti non core.
Nello specifico, monitorando l’avanzamento nell’adozione delle principali tecnologie digitali, Cloud, Big Data e Analytics, Blockchain, Machine Learning, IA e dello tecnologie innovative per lo sviluppo software, il campione interpellato ha evidenziato che la funzione IT in azienda è sollecitata dal business soprattutto rispetto allo sviluppo di nuove applicazioni e funzionalità (67%), così come all’aggiornamento di sistemi e applicazioni (53%).
Raccolta e analisi dati: il ruolo della funzione IT
Condotta interpellando per il 68% del campione grandi aziende con più di 250 dipendenti appartenenti, per lo più, al settore dei servizi (36%) e dell’industria (20%), seguito dal settore pubblico (18%), da quello finanziario (12%) e dalla distribuzione (8%), dall’indagine è emerso che solo il 26% dei responsabili IT dichiara di essere coinvolto in attività di supporto nella reperibilità, raccolta e analisi dei dati interni e esterni all’azienda.
Sembra quindi si stia delineando una dicotomia tra la richiesta del business in direzione dello sviluppo di applicazioni “data intensive” e l’orientamento più tradizionale delle strutture interne di IT, focalizzate soprattutto su iniziative nell’ambito del consolidamento dell’infrastruttura ICT (70%) e della razionalizzazione e ammodernamento del parco applicativo (65%).
Dall’indagine la funzione IT continua dunque ad avere in azienda un ruolo orientato al miglioramento dell’installato, attraverso lo sviluppo di nuove funzionalità e all’aggiornamento di sistemi e applicazioni, mentre gli investimenti nell’area dati tendono a svilupparsi attraverso altre strade, spesso collegate direttamente alle funzioni di business.
IT manager a metà tra la tradizione e il futuro
Per quanto riguarda l’attività di gestione e analisi dati da parte dell’IT si denota, quindi, un taglio prevalentemente “tradizionale”, orientato soprattutto all’analisi interna dei “core data” (dati strutturati provenienti soprattutto dall’ambito finanziario e commerciale), con strumenti quali le piattaforme di Business Intelligence (55%) e con strumenti avanzati di Business Analytics (13%).
Si prevede d’altra parte che l’uso di strumenti più avanzati aumenterà nei prossimi anni, anche a fronte del fatto che il 36% delle aziende dichiarano di considerare in prospettiva i Big Data e gli Analytics come aree di maggiore investimento per il futuro.
Infine, forte rimane la preoccupazione nell’area della Cybersecurity, che risulta una delle aree di maggiore investimento per il 35% delle imprese.
Il 27% di rispondenti ha dichiarato di stare investendo in servizi di cloud computing, contro il 28% che afferma di stare investendo nell’ambito delle infrastrutture ICT in-house.
In questo contesto emerge dunque come le imprese intervistate stiano spendendo – sia internamente sia esternamente – soprattutto per il mantenimento e lo sviluppo dell’esistente, a discapito dello sviluppo di nuove applicazioni.
Rispetto al tema delle competenze e delle figure professionali necessarie nel medio lungo periodo nell’ambito del digitale e dell’informatica, dall’analisi emerge come le aziende del campione prevedono di avere bisogno nei prossimi anni soprattutto di figure nell’ambito della cybersecurity (46%), della data science (39%), dell’IoT (15%). Solo l’11% ritiene che non vi sarà bisogno di nuove figure.