Un’indagine commissionata da AICA a SDA Bocconi mostra come le aziende siano pronte a cavalcare le opportunità della tecnologia, ma sentano di doversi preoccupare anche dei livelli occupazionali in diminuzione (69%). La ricerca è stata stilata sulla base di interviste a 14 opinion leader e questionari a 300 studenti/neolaureati (di 15 atenei italiani), 62 startupper di settori economici differenti, 243 manager d’azienda (con la collaborazione di Aldai Federmanager), 115 responsabili del personale (con la collaborazione di AiDp, Associazione Italiana dei Direttori del Personale).
Aggregando i dati di tutti gli intervistati, emerge come l’impatto, visibile fin d’ora, entro 10 anni genererà la crisi occupazionale in modo sensibile. Un impatto più forte della sostituzione uomo-macchina si avrà a livello di attività operative fisiche (87% dei rispondenti) o intellettive (92%) ma subiranno un effetto sostituzione anche quelle concettuali di livello (51%).
“È complesso dire se il lavoro sarà distrutto o ricomposto su altre prospettive rispetto all’assetto attuale, anche se le rilevazioni tendono a dimostrare che anche il lavoro più intellettivo soffrirà della sostituzione uomo-macchina”, affermano Alfredo Biffi e Pierfranco Camussone, docenti della SDA Bocconi e autori della ricerca.
Sicuramente cambierà la qualità della vita: il mondo produrrà più ricchezza, ma in prima istanza ne beneficeranno in pochi e bisognerà provvedere a trovare il giusto equilibrio tra produttori di ricchezza e fruitori. Per i rispondenti ai questionari (più del 60% dei rispondenti concordano), le tecnologie che oggi sembrano più conosciute e promettenti per il business riguardano la stampa 3D, le architetture cloud, l’internet delle cose e il machine learning.
I giovani non hanno una netta tendenza a scegliere il settore ICT come ambito lavorativo futuro, ma si distribuiscono sui settori dei rispettivi ambiti di studio.
Le azioni che maggiormente vengono indicate come necessarie, secondo i manager e i responsabili del personale, per ridurre i rischi e rilanciare il lavoro riguardano la comprensione delle nuove competenze emergenti e conseguentemente il loro sviluppo attraverso percorsi di formazione e qualificazione delle competenze non solo digitali.
“Investire sulla formazione scolastica e universitaria prima e sull’aggiornamento professionale poi rappresenta una scelta obbligata nel contesto di digitalizzazione dei processi aziendali che stiamo vivendo. Per essere in grado di dominare il cambiamento, anziché subirlo, occorre dotarci di strumenti culturali e operativi che ci consentano di rapportarci in modo efficace a un mercato del lavoro in continua trasformazione. Investire nella costruzione di una cultura digitale è perciò importante tanto quanto investire in asset di materiali e tecnologie. È questo il messaggio che da oltre 50 anni veicoliamo come associazione ed è per questo che continuiamo ad aggiornarci e far evolvere le nostre iniziative – spiega il Presidente di AICA Giuseppe Mastronardi -. Se si ragiona in questi termini, la trasformazione digitale del mercato del lavoro deve essere letta come una grande opportunità di crescita, capace di accelerare sviluppo economico, sociale e culturale”.
Se la dirompenza delle tecnologie sulle attività dell’uomo è sempre più evidente, la ricerca si è posta l’obiettivo di sistematizzare le conoscenze esistenti a livello internazionale e nazionale sul tema e di rilevare il grado di consapevolezza sull’argomento e le logiche di sua interpretazione degli attori principali protagonisti dei cambiamenti in atto.
Ricca di dettagli, la ricerca approfondisce anche l’evoluzione dei ruoli dei manager (diventeranno progettisti e gestori di innovazione continua, diminuendo di numero) e dei responsabili del personale (gestori del cambiamento e sviluppatori di azioni di apprendimento continuo).
Le logiche di formazione per l’innovazione paiono essere l’elemento che accomuna tutti i partecipanti alla indagine, come leva per la costruzione del futuro del lavoro.