L’89% di tutti gli attacchi implica motivazioni finanziarie o di spionaggio. La maggior parte degli attacchi sfrutta vulnerabilità conosciute ma irrisolte, nonostante le patch siano disponibili da mesi, se non addirittura anni. Infatti, le dieci vulnerabilità più conosciute hanno riguardato l’85% degli exploit di successo. Il 63% delle violazioni di dati rilevate ha interessato l’utilizzo di password deboli, predefinite o sottratte. Il 95% delle violazioni e l’86% degli incidenti di sicurezza segnalati rientra in sole nove tipologie precedentemente individuate. Gli attacchi ransomware sono in crescita del 16% rispetto ai dai riportati nel report del 2015. Le difese di base sono, ancora oggi, gravemente assenti in diverse organizzazioni.
Sono questi i principali dati emersi dal Data Breach Investigation di Verizon, secondo il quale i cyber criminali stanno facendo ricorso a modalità di violazione vecchie trovando la loro fortuna nella fragilità umana.
Il phishing rimane l’attacco più usato
Le tecniche più utilizzate sono ancora quelle di phishing, cioè quando un utente finale riceve una mail da una fonte fraudolenta. Il 30% delle vittime aprono questo tipo di messaggi e il 13% di loro clicca sull’allegato malevolo o sul link dannoso, permettendo l’infiltrazione di un malware l’accesso dei cyber criminali.
Negli anni precedenti, il phishing è stato un modello di attacco utilizzato esclusivamente per il cyber-spionaggio, ma nel report di quest’anno è presente in sette delle nove tipologie di incidenti individuate. Questa tecnica è estremamente efficace e offre agli attaccanti una serie di vantaggi, come tempi molto stretti di compromissione del sistema e la possibilità di concentrarsi su individui e organizzazioni specifiche.
Alla lista di errori commessi dal singolo individuo vanno aggiunti quelli perpetrati dalle organizzazioni stesse. Classificati come “errori di vario tipo”, questa tipologia di incidenti è al primo posto nella classifica delle violazioni di sicurezza individuate dal report di quest’anno. Infatti, il 26% di questi errori riguarda l’invio di dati sensibili al destinatario errato. Altri errori presenti in questa categoria sono: eliminazione non corretta di informazioni aziendali, errori nella configurazione dei sistemi informatici, furto o smarrimento di dispositivi come laptop o smartphone.
“Potremmo affermare che le nostre conclusioni riconducano tutte ad un tema comune – l’elemento umano”, ha affermato Bryan Sartin, Executive Director, Verizon RISK Team. “Nonostante i progressi nella ricerca sull’information security e in termini di soluzioni e strumenti per la cyber-detection, continuiamo ad assistere agli stessi errori che conosciamo ormai da più di un decennio. C’è da chiedersi come sia ancora possibile”.
Cresce l’attacco a tre fasi
Il report di quest’anno definisce la diffusione, con grande regolarità, di una modalità di attacco a tre fasi. Numerose aziende diventano preda di questa tipologia d’attacco, che comprende:
– L’invio di una mail di phishing che include un link a un sito web dannoso o, principalmente, un allegato malevolo;
– Il download del malware sul PC dell’utente, punto d’accesso iniziale, mentre malware aggiuntivi possono essere utilizzati per individuare documenti segreti, sottrare informazioni interne (spionaggio) o crittografare file a scopo di estorsione. Nella maggior parte dei casi, il malware ruba le credenziali di numerose applicazioni attraverso un key-logging.
– L’uso di credenziali per futuri attacchi, come l’accesso, ad esempio, a siti web di terze parti come banche o siti di e-commerce.
Il report del 2016 ribadisce la necessità di una buona protezione di base
I ricercatori notano come misure di base ben implementate continuino ad essere più importanti di sistemi complessi.
“Il report di quest’anno dimostra ancora una volta che non esiste un sistema che si possa definire impenetrabile: spesso, però, anche una difesa di base è in grado di scoraggiare i cyber-criminali, che cercheranno, quindi, un bersaglio più facile”, ha aggiunto Sartin.