Un mercato che cresce, ma ancora in cerca di autore quello dei Big Data Analytics in Italia.
“Anche quest’anno abbiamo registrato una crescita del 25% – afferma Alessandro Piva, Responsabile della ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano presentata oggi a Milano -. e questo risulta essere l’ambito d’investimento Ict di maggior interesse per il 56% dei CIO italiani“.
Il ritratto che emerge dalla ricerca è quello di un mercato appunto ancora in cerca d’autore: “Ci sono tante iniziative interessanti focalizzate in alcuni ambiti specifici – prosegue Piva – ma quello che si evidenzia è che manca ancora una governance complessiva, una strategia delle imprese all’utilizzo dei Big Data Analytics e soprattutto la mancanza ancora di competenze specifiche e di figure professionali quali il Data Scientist e il Chief Data Officer che siano in grado di fornire alle imprese degli strumenti per poter comprendere in modo completo e maturo le opportunità che i Big Data Analytics possono offrire alle aziende”.
Ed è molto importante che le aziende comprendano il potenziale dirompente dei Big Data perchè questi rappresentano un vero breakthrough nel modo di prendere le decisioni di business.
“Si tratta di un punto di rottura tecnologica. Siamo di fronte a una svolta definitiva, il Big Data è un’innovazione permanente con la quale faremo i conti per sempre, non una moda – puntualizza Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell’Osservatorio -. Il valore dei Big Data è nella possibilità di rispondere a domande che prima non avevamo neanche il coraggio di porci. Il focus è l’abilità di estrarre elementi per fare predizioni e scoprire le correlazioni nascoste tra i dati”.
Il fatto positivo, come attestano le evidenze emerse dalla ricerca, è che l’interesse delle organizzazioni italiane verso i Big Data Analytics è in forte crescita. Ad essere presi in esame, e questo è un dato un poco preoccupante, sono principalmente i dati “tradizionali”: l’83% infatti è di tipo strutturato, cioè organizzato secondo schemi di database predefiniti e facilmente manipolabili, e l’84% da dati interni all’organizzazione, mentre solo il 16% proviene da fonti o processi esterni come web e social media. Il volume dei dati semi-strutturati e destrutturati appare però in crescita rispetto al 2013 (+31%) a una velocità maggiore rispetto a quelli strutturati (+21%). Le opportunità da cogliere quindi sono molto alte, se si pensa che ancora meno del 50% dei dati disponibili nei sistemi aziendali vengono effettivamente utilizzati nelle applicazioni Big Data Analytics.
Le cause del mancato utilizzo di tutti i dati a disposizione delle organizzazioni nei sistemi BDA&BI sono legate, come si sottolineava all’inizio, ad aspetti di governance: tra i maggiori ostacoli la mancanza di figure organizzative specializzate, l’assenza di un team di governance internfunzionale e la mancanza di un presidio all’interno del ciclo di vita di gestione del dato. Non sembra invece un problema di natura tecnologica.
Per essere colte appieno, le potenzialità dei Big Data Analytics richiedono nuove competenze e modelli di governance per gestire progetti complessi e spesso interfunzionali. Come metteva in evidenza Piva servono nuovi ruoli come il Chief Data Officer, un membro dell’executive management team con competenze tecniche, di business e soft skills che soprintenda le funzioni aziendali per la gestione e valorizzazione dei dati come asset strategico aziendale, guidando un team multi-funzionale. E nuove figure professionali come il Data Scientist, la figura interdisciplinare che ha il compito di estrarre informazioni dei dati, modellizzare problemi complessi e identificare opportunità di business, oltre che conoscenza dei sistemi di Advanced Analytics. Si tratta di figure professionali già diffuse all’estero, ma che in Italia stentano ad attecchire, con ben il 73% delle aziende che non dimostra alcun interesse per una sua introduzione futura nell’organico aziendale.
Le opportunità per una crescita ci sono tutte, ora spetta solo alle aziende italiane saperle cogliere per trarre dai dati conoscenze e schemi che si possono trasformare in un reale vantaggio competitivo.