Il crimine serpeggia: non passa giorno senza che balzi agli onori della cronaca un fatto criminoso, dal delitto passionale, alla regolazione di conti, per poi passare, tema di stretta attualità, alle azioni terroriste. L’azione investigativa rappresenta un punto cardine per risolvere casi di questa natura, ma non basta.
Una mano potrebbe arrivare dalla scienza grazie all’istituzione della banca dati del DNA. Già operativa in alcuni Paesi, ora è giunto il momento che arrivi anche in Italia. Si tratterebbe di un supporto che permetterebbe indagini più veloci e con un raggio di azione investigativo più ampio, potendo contare sui database degli stati europei che hanno già in funzione gli archivi. L’Italia deve effettivamente e concretamente adeguarsi al trattato di Prum, sottoscritto nel 2005, dove il nostro Paese si impegnava, insime a Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria a rafforzare la cooperazione di polizia in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità trasfrontaliera ed all’immigrazione clandestina con l’istituzione della banca dati.
Se l’introduzione della rilevazione dell’impronta digitale è stato il primo passo verso la profilazione dei detenuti, un archivio dei campioni di Dna ne rappresenta l’evoluzione tecnologica: non solo, ad esempio, identifica un individuo su una scena del crimine, ma dà indizi sul suo genere, maschio o femmina, e altre informazioni rilevanti. L’uso del DNA permette ad esempio di escludere innocenti se le tracce rinvenute sono diverse da quelle dell’indiziato, riducendo la cerchia dei sospetti. A testimoniare quanto il DNA può essere importante ci sono stati svariati casi, come quello di Alberica Filo della Torre ed Elisa Claps: in questi casi le analisi del DNAhanno rappresentato una vera e propria svolta nelle indagini.
Il DNA è utilissimo anche nel circoscrivere gli “universi” di indagine poichè spesso, almeno nel 70% dei casi, i responsabili di crimini violenti sono statisticamente dei recidivi. I Paesi con sistemi maturi di database del DNA, come il Regno Unito, gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda, che hanno schedato circa il 40-60% della popolazione criminale, su 10 crimini violenti irrisolti, che hanno inserito nel database, almeno 4 saranno immediatamente ricondotti ad un delinquente conosciuto.
La prova del DNA serve anche ad escludere gli innocenti: in America ad oggi, secondo i dati del rapporto annuale della fondazione The Innocence Project’s, il test del DNA post-condanna è stato utilizzato per scagionare oltre 300 persone che sono state ingiustamente condannate per gravi crimini violenti, di cui 17 nel braccio della morte.
Il DNA forense è stato anche utilizzato per identificare i resti naturali dopo lo tsunami del 2004 che ha ucciso migliaia di persone, e più di recente nel 2011 in occasione delle inondazioni in cui hanno perso la vita oltre 800 persone. Mentre in Italia recentemente è stato utilizzato per l’identificazione dei resti delle vittime dell’incidente della Costa Concordia.
Non resta quindi che onorare gli accordi e lasciare che la scienza dia il suo contributo nella lotta contro il crimine.