Intervento di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(“L’Huffington Post”, 8 settembre 2015)
“Il senatore Pietro Ichino, nel suo blog, ci accusa di intervenire – evidentemente non nel senso che avrebbe auspicato – sul tema dei controlli a distanza sul lavoro, dopo un asserito “pluridecennale silenzio”. Ora, non pretendiamo ovviamente che il Senatore conosca i numerosissimi provvedimenti che abbiamo emanato su questo tema; da ultimo per precisare le condizioni che legittimano l’utilizzo della geolocalizzazione dei lavoratori con il gps degli smartphone.
E non pretendiamo neppure che abbia letto i nostri numerosi interventi, anche in sedi parlamentari, sulla revisione della disciplina dei controlli a distanza che il governo ha predisposto, in attuazione del Jobs Act.
Tuttavia, se solo il Senatore avesse prestato un minimo di attenzione a quanto da noi affermato in audizione, proprio sul decreto legislativo attuativo del Jobs Act, dinanzi alla Commissione Lavoro del Senato (di cui egli fa autorevolmente parte), avrebbe probabilmente inteso quale sia il vero tema di discussione. E cioè non la questione dell’applicazione della procedura concertativa anche a controlli di tipo diverso, quali la verifica dell’orario di lavoro mediante badge o il corretto uso del pc o del telefono aziendali ovvero, ancora, la geolocalizzazione con sistema satellitare.
Su questo aspetto più lavoristico non ci siamo soffermati, come potrà verificare anche scorrendo, negli atti parlamentari, il resoconto della nostra audizione. Abbiamo anzi condiviso l’esigenza di aggiornare una disciplina, quale quello dello Statuto dei lavoratori, che pur avendo introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento una specifica tutela della riservatezza, ha comunque richiesto interpretazioni evolutive (anche del Garante), volte ad adattare norme pensate per l’organizzazione fordista del lavoro alla realtà dell’internet delle cose, della sorveglianza di massa, del corpo elettronico.
Ciò che abbiamo sottolineato è, invece, che per delineare – come imposto dal criterio di delega – un equilibrio ragionevole tra ragioni datoriali e tutela del lavoratore, tra economia e diritti, si sarebbe dovuto riflettere non tanto sulla concertazione sindacale, quanto sull’effettiva estensione e pervasività di questi controlli.
La disciplina proposta dallo schema di decreto consentiva infatti l’utilizzabilità dei dati raccolti mediante i controlli a distanza (previa concertazione o meno) per “tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”. Se questa formulazione venisse confermata nel testo definitivo del decreto (di cui ancora non disponiamo), si tratterebbe, indubbiamente, di un’innovazione non irrilevante. Soprattutto rispetto all’indirizzo giurisprudenziale che, ad esempio, ha escluso l’utilizzabilità dei dati ottenuti con controlli difensivi, per provare l’inadempimento contrattuale del lavoratore. E rispetto alla Raccomandazione del 1^ aprile del Consiglio d’Europa, che in particolare auspica la minimizzazione dei controlli difensivi o comunque rivolti agli strumenti elettronici; l’assoluta residualità dei controlli, con appositi sistemi informativi, sull’attività e il comportamento dei lavoratori in quanto tale; il tendenziale divieto di accesso alle comunicazioni elettroniche del dipendente.
Se, dunque, il testo definitivo restasse quello su cui ci siamo pronunciati, la possibilità del controllo dell’attività lavorativa e la conseguente utilizzabilità, anche a fini disciplinari, dei dati così acquisiti, diverrebbe in tal modo un “effetto naturale del contratto”, in quanto finirebbe con il discendere naturalmente dalla costituzione del rapporto di lavoro.
Ovviamente, la necessaria conformità del trattamento dei dati dei lavoratori al Codice privacy (prevista ma discendente dalla primazia del diritto europeo), consentirà l’applicazione di alcuni fondamentali principi (pertinenza, correttezza, non eccedenza del trattamento, divieto di profilazione), utili a impedire la sorveglianza massiva e totale del lavoratore. Tuttavia, una così rilevante estensione delle finalità per le quali utilizzare i dati dei lavoratori è un dato sul quale ci siamo sentiti in dovere di far riflettere le Camere e il governo.
I pareri espressi dalle Commissioni parlamentari (anche da quella di cui il Senatore fa parte) sembrano aver colto questa preoccupazione; vedremo quanto il governo ascolterà queste nostre riflessioni”.