A cura di:
Richard Hughes
autore di Business Communication Revolution e direttore della divisione Social Strategy presso BroadVision
L’ idea di sfruttare il successo dei social network come Twitter e Facebook e applicare le tecniche associate alla comunicazione d’impresa non è una novità. Per diversi anni molti leader di pensiero e fornitori hanno spiegato come i social network aziendali (Enterprise Social Networks, ESN) si profilassero come soluzione per molti degli inconvenienti della posta elettronica, con particolare riferimento alle discussioni di gruppo e all’acquisizione del capitale collettivo di conoscenze. Una conversazione tra cinque utenti è molto più efficace se svolta nell’ambito di un social network che se sviluppata su una lunga serie di e-mail inviate in copia a tutti i partecipanti. Il risultato offerto dai social network è un’immagine univoca e confermata della discussione visibile e disponibile a tutti i partecipanti e facilmente reperibile da altri membri della rete autorizzati all’accesso.
I vantaggi dei social network all’interno di un’organizzazione sono stati documentati in maniera esauriente in una relazione del McKinsey Global Institute (MGI) del luglio 2012, intitolata ‘The social economy: Unlocking value and productivity through social technologies‘ (La social economy: sbloccare valore e produttività attraverso le tecnologie sociali). L’MGI ha riscontrato che le tecnologie sociali sono in grado di migliorare la produttività dei lavoratori del terziario avanzato del 20-25% riducendo il tempo impiegato nella lettura e nella scrittura delle e-mail, nella ricerca e nella raccolta di informazioni e nelle comunicazioni interne.
Numerose aziende però non dispongono ancora di un solido social network interno e non riescono dunque a ottenere i benefici descritti nel rapporto MGI. Le motivazioni sono varie e di carattere per lo più associato alla percezione e alla cultura aziendale, piuttosto che a problematiche tecnologiche.
Innanzitutto, i social network aziendali hanno accusato una sorta di problema di identità. Il termine “social business” è ancora comunemente impiegato per indicare sia l’uso esterno dei social network, ad esempio per il coinvolgimento dei clienti su Facebook, sia il loro uso interno per la collaborazione tra dipendenti. I risultati di un recente sondaggio, che indica che il 74% delle aziende usa Facebook per la collaborazione aziendale, sono sicuramente frutto di questa confusione: è molto probabile che il 74% (o anche più) delle aziende utilizzi Facebook per attività di qualche sorta, ma ciò non basta per asserire che tutte queste aziende lo impieghino per finalità di collaborazione interna tra i dipendenti.
Questa mancanza di chiarezza sulle modalità di impiego delle tecnologie sociali conduce a uno scetticismo e spesso a un’ostilità da parte dei dirigenti. Termini imprecisi e superficiali come “Facebook per aziende” o “Twitter per aziende” non fanno altro che perpetuare questo problema, dipingendo l’immagine di una piattaforma di gossip d’ufficio dove i dipendenti condividono foto dei loro bambini e dei loro animali domestici. La comune metafora della “macchina del caffè virtuale” è altrettanto deteriorante, poiché suggerisce l’idea che i social network siano destinati alle pause tra le attività lavorative vere e proprie piuttosto che essere realmente utili per queste ultime.
È sempre più evidente che per conquistare maggior successo le iniziative basate su social network all’interno di un’organizzazione devono coadiuvare l’attività lavorativa, aiutando i dipendenti ad aumentare la produttività nelle attività che svolgono, piuttosto che istituire un ulteriore canale di comunicazione da seguire.
Qualche anno fa si è sparsa una voce di corridoio sulla possibilità che un gruppo di dipendenti entusiasti potesse costruire, partendo da zero, un social network per dipendenti senza il coinvolgimento della direzione. Questo è ormai considerato sempre più come un mito: l’applicazione dei social network ai processi aziendali reali è in realtà un’operazione la cui pianificazione e distribuzione richiede l’approvazione della direzione. Certamente l’approccio “dal basso verso l’alto” ha prodotto alcune implementazioni di successo, ma in numero di gran lunga inferiore a quanto precedentemente suggerito. Le iniziative di questo tipo, nella maggior parte dei casi, si dissolvono una volta dissolto l’iniziale entusiasmo, senza essere in alcun modo rilevanti nei confronti degli obiettivi aziendali. Charlene Li di Altimeter Group ha redatto nel febbraio 2012 una relazione dal titolo Making The Business Case For Enterprise Social Networks (Rilevanza dei social network aziendali nell’attività lavorativa), nella quale constata che “la realtà del lavoro quotidiano ha spinto gli utenti a mettere da parte l’utilizzo degli ESN a favore di un ritorno alle attività e agli schemi di comunicazione tradizionali”. In parole povere, se il network non supporta il lavoro vero e proprio è destinato al fallimento, poiché i dipendenti vengono prima o poi inevitabilmente trascinati nuovamente sull’attività di lavoro reale.
È chiaro anche che per alcuni tipi di organizzazioni l’implementazione degli ESN risulta più semplice, e quindi più vantaggiosa, che per altri. Le aziende con forza lavoro distribuita traggono maggiore vantaggio dagli ESN rispetto alle piccole imprese in cui tutti i dipendenti lavorano nello stesso ufficio, poiché nelle prime la comunicazione di persona è ostacolata dalla logistica. Le aziende che si impegnano nel garantire una maggiore apertura e incoraggiano i dipendenti a prendere decisioni autonome hanno una probabilità di gran lunga maggiore di creare un network di successo rispetto a quelle aziende che cercano attivamente di ridurre il flusso di informazioni.
Dando uno sguardo al passato, appare sorprendente che queste migliori pratiche non fossero ovvie anni fa ed effettivamente molti sostenitori del social business additano da tempo questi concetti. Tuttavia, per ogni organizzazione che ha seguito questi saggi consigli e implementato un ESN di successo, molte altre hanno fallito e sono cadute nella trappola del “Facebook per aziende”. Non bisogna però lasciarsi scoraggiare da questo fallimento: il potenziale di miglioramento nella comunicazione offerto dai social network aziendali è sempre più convincente e richiede solo un’adeguata pianificazione e l’allineamento con i reali obiettivi dell’organizzazione.