La direttiva sulla conservazione dei dati¹ ha per obiettivo principale l’armonizzazione delle disposizioni degli Stati membri sulla conservazione di determinati dati generati o trattati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di una rete pubblica di comunicazione. Essa è quindi volta a garantire la disponibilità di tali dati a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, come in particolare i reati legati alla criminalità organizzata e al terrorismo. In tal senso, la direttiva dispone che i suddetti fornitori debbano conservare i dati relativi al traffico, i dati relativi all’ubicazione nonché i dati connessi necessari per identificare l’abbonato o l’utente. La direttiva non autorizza, invece, la conservazione del contenuto della comunicazione e delle informazioni consultate.
Diritti fondamentali violati
La Corte dichiara invalida la direttiva², rilevando, anzitutto, che i dati da conservare consentono in particolare 1) di sapere con quale persona e con quale mezzo un abbonato o un utente registrato ha comunicato, 2) di determinare il momento della comunicazione nonché il luogo da cui ha avuto origine e 3) di conoscere la frequenza delle comunicazioni dell’abbonato o dell’utente registrato con determinate persone in uno specifico periodo. Tali dati, considerati congiuntamente, possono fornire indicazioni assai precise sulla vita privata dei soggetti i cui dati sono conservati, come le abitudini quotidiane, i luoghi di soggiorno permanente o temporaneo, gli spostamenti giornalieri o di diversa frequenza, le attività svolte, le relazioni sociali e gli ambienti sociali frequentati.
La Corte ritiene che la direttiva, imponendo la conservazione di tali dati e consentendovi l’accesso alle autorità nazionali competenti, si ingerisca in modo particolarmente grave nei i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di carattere personale. Inoltre, il fatto che la conservazione ed il successivo utilizzo dei dati avvengano senza che l’abbonato o l’utente registrato ne siano informati può ingenerare negli interessati la sensazione che la loro vita privata sia oggetto di costante sorveglianza.
Regolamentazione non sufficiente
La conservazione dei dati ai fini della loro eventuale trasmissione alle autorità nazionali competenti risponde effettivamente a un obiettivo di interesse generale, vale a dire la lotta alla criminalità grave nonché, in definitiva, la pubblica sicurezza.
Tuttavia, la Corte ritiene che il legislatore dell’Unione, con l’adozione della direttiva sulla conservazione dei dati, abbia ecceduto i limiti imposti dal rispetto del principio di proporzionalità.
A tale riguardo, la Corte osserva che, in considerazione, da un lato, dell’importante ruolo svolto dalla protezione dei dati personali nei confronti del diritto fondamentale al rispetto della vita privata e, dall’altro, della portata e della gravità dell’ingerenza in tale diritto che la direttiva comporta, il potere discrezionale del legislatore dell’Unione risulta ridotto e che occorre quindi procedere a un controllo rigoroso.
Anche se la conservazione dei dati imposta dalla direttiva può essere considerata idonea a raggiungere l’obiettivo perseguito dalla medesima, l’ingerenza vasta e particolarmente grave di tale direttiva nei diritti fondamentali in parola non è sufficientemente regolamentata in modo da essere effettivamente limitata allo stretto necessario.
¹ Direttiva 2006/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, riguardante la conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE (GU L 105, pag. 54).
² Dato che la Corte non ha limitato gli effetti della propria sentenza nel tempo, la dichiarazione di invalidità ha efficacia dalla data di entrata in vigore della direttiva.