È un tessuto di micro e piccole imprese pronto a crescere in dimensioni e competenze quello fotografato dall’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.
Stando ai risultati, infatti, quasi il 50% degli studi italiani costituiti da avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari risulta interessato a operazioni di merger&acquisition, ossia fusioni&acquisizioni, sia nel ruolo di acquirente sia come oggetto di acquisizione degli studi professionali.
Condotta su 63 casi di studio che, sommati ai 145 provenienti dalle due edizioni precedenti, portano a 208 le osservazioni empiriche, la ricerca aggiornata a dicembre 2016 evidenzia un quadro in cui il 54% degli studi realizza un fatturato non superiore ai 100 mila euro, con un portafoglio clienti di circa 70 aziende. Tuttavia, rispetto all’anno precedente, il portafoglio medio è cresciuto di una ventina di nominativi e il fatturato per cliente è sceso sotto i 2 mila euro. Anche per questo, quasi la metà degli studi professionali nutre interesse verso operazioni di fusione/acquisizione.
Secondo Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale: “La ricerca rivela la dinamicità del quadro italiano degli studi professionali. Al suo interno si delinea un mercato di compra-vendita per gli studi professionali che è forte e vivace. Altro elemento significativo è, poi, rappresentato dall’obiettivo di queste operazioni di M&A: gli studi cercano soprattutto fusioni trasversali, per integrare professionalità diverse dalla propria e arricchire la propria offerta, mentre una minoranza punta ad acquisizioni di tipo verticale, per rafforzarsi all’interno della propria specializzazione. Il mondo delle professioni si sta muovendo, anche se con velocità non omogenee, e gli studi professionali restano un sostegno fondamentale per la crescita del sistema imprenditoriale nazionale”.
Investimenti in strumenti Ict +2,5%
Come sottolineato a sua volta da Elisa Santorsola, Ricercatrice dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale: “Il modello organizzativo degli studi risulta profondamente modificato nel 2016, sia per il contesto macroeconomico che continua a essere incerto, sia per l’adozione di nuovi strumenti tecnologici, un’area in cui gli investimenti dei professionisti sono cresciuti l’anno scorso del 2,5%. Ogni realtà professionale ricerca una propria identità modellata sulle nuove condizioni del proprio business di riferimento, dove i clienti esprimono esigenze che i professionisti cercano di servire con soluzioni personalizzate e mirate”.
Serve formazione su temi esterni al panorama giuridico
Inoltre, sull’utilizzo degli strumenti digitali, il livello di competenze interno viene considerato avanzato per quel che riguarda la capacità di risolvere piccoli problemi legati agli strumenti informatici (56%), all’utilizzo di applicazioni per la produttività personale (43%) o per instant messaging e videoconferenza (23%), ma molti professionisti ammettono che le competenze attualmente a disposizione non sono sufficienti di fronte a strumenti informatici evoluti come intelligenza artificiale e business intelligence (lo afferma il 37% del campione) e nell’utilizzo dei social network (28%) e degli strumenti a supporto dei processi lavorativi (portali, GED, workflow, 26%).
Ciononostante, la formazione fa ancora fatica a puntare in modo deciso su temi diversi dal panorama giuridico. Per l’anno in corso i principali temi formativi ritenuti di maggior interesse riguardano, per i dipendenti, gli applicativi di studio (45%) e le materie giuridiche (25%); il 32% degli studi dichiara di non prevedere alcuna formazione per i dipendenti per l’anno in corso. I principali temi formativi per i professionisti sono materie giuridiche (70%), applicativi di studio (54%) e materie economico-aziendali (25%); solo il 6% degli studi prevede di non fare formazione ai suoi professionisti.
Tecnologie digitali e smart working
L’investimento complessivo effettuato dagli studi professionali in tecnologie ammonta nel 2016 a un miliardo e 142 milioni, pari a un incremento del 2,5% sul 2015, spesso con strategie mature perché nella maggior parte degli studi la spesa in Ict è considerata leva strategica per migliorare organizzazione e posizionamento sul mercato. Di qui i sempre più numerosi progetti innovativi per migliorare l’efficienza (37%), le relazioni con i clienti (40%) e la capacità di fornire servizi (26%). La componente Ict incide sui costi tra le diverse professioni per importi oscillanti tra il 15% e il 20%.
L’87% degli studi è attrezzato o interessato al lavoro in mobilità, consentendo ai professionisti di collegarsi al gestionale dello studio in qualsiasi momento e luogo. Per quanto riguarda i dipendenti la percentuale è del 62%, segno comunque di una buona propensione verso modelli di lavoro “più leggeri”. Tuttavia lo smartphone e il tablet entrano ancora poco nella gestione dei processi lavorativi, tanto che la funzione più utilizzata, dopo quella telefonica, è la gestione dell’agenda (22%), seguita dalla lettura di articoli (15%) e dalla condivisione di documenti (11%). Da notare che il 12% degli studi dichiara di utilizzare lo smartphone solamente per le chiamate telefoniche e per la lettura delle email.