Cosa sono i big data? A cosa servono davvero? É questo un tema sempre più dibattuto e sul quale è intervenuto Andrea Ridi, Ceo di Rulex
I Big Data sono un tema di moda, spiega Ridi, ma si tratta di aspetti di frontiera, “dietro i quali c’è una rivoluzione che è ancora agli inizi”. Non per nulla i Big Data vengono identificati con l’immagine di un elefante, non solo per le enormi dimensioni, ma come metafora di un oggetto complesso, che può essere difficile da comprendere se non si possiede la capacità di coglierne l’essenzialità. Quindi, per sfruttarli, servono tecnologie ancora non ben note, in quanto “tutta la tecnologia di analisi sinora conosciuta è oggi superata”.
Quando un dato è davvero… Big
Si parla di Big Data quando le sue dimensioni sono “parte stessa della natura del sistema e, quindi, per capirli servono tecnologie nuove”. Emblematico, in questo ambito, il caso dei gestori di carte di credito, chiamati a governare sino a 800 miliardi di transazioni all’anno, decidendo in pochi secondi se si tratta di una potenziale frode. Per ottenere risultati affidabili è però necessario correlare dati eterogenei per ottenere risultati efficaci.
Affinché un simile processo sia efficace, non sono sufficienti le tre caratteristiche ritenute adeguate sino a poco tempo, ovvero volume, velocità e varietà. Quest’ultime sono infatti imprescindibili, ma Ridi ribadisce la necessità di una quarta V: veridicità. Un aspetto erroneamente sottovalutato. Ad esempio chi gestisce un sito web crede, attraverso le credenziali, di conoscere i propri utenti. Ma davvero i profili sono corretti? Se l’utilizzatore è diverso, i dati possono essere non affidabili. Quindi, senza la certezza del dato si ha indeterminazione e si possono avere solo realtà sfumate, la cui precisione può essere accresciuta solo aumentando la quantità di dati trattati
Il valore dei Big Data
Ma quanto valgono i dati? “La maggior parte dei dati, da soli non ha valore”, spiega Ridi. Ma lo acquisiscono quando vengono correlati ad altri dati, provenienti da fonti eterogenee”. Per questo servono nuove tecnologie, capaci di estrarli e convertirli in valore economico. Si tratta di un’economia nel quale sono coinvolti miliardi di dollari. Del resto è previsto che, nel 2020, avremo 20 volte la mole di dati disponibili oggi. Chi riuscirà a dominarli avrà un vantaggio competitivo.
Questi dati, però, arrivano dalle fonti più svariate e devono essere conservati e gestiti. Un compito nel quale sono coinvolti proprio gli ingegneri, chiamati a convertire i dati in azioni.
Del resto avere migliaia di dati può avere l’effetto controproducente di aumentare la complessità e non aiutare le scelte. Occorre, invece, tradurli in risposte semplici. Alle aziende, infatti, serve sapere perché un cliente va alla concorrenza, ma anche chi compra un prodotto, quali caratteristiche predilige… In passato l’uomo di marketing sfruttava la propria esperienza, oggi la tecnologia aiuta a capire e offre un vantaggio competitivo.
Non per nulla uno dei lavori più richiesti è quello di data scientist. Ma per formare una simile professionalità servono dai 10 ai 15 anni. Solo al termine di un simile percorso, il professionista è in grado di analizzare e interpretare i dati per poi trasmetterli alla produzione. Ma solo le grandi aziende possono permettersi gli investimenti necessari. Per questa ragione la sfida del settore è quella di creare soluzioni fedeli alle quattro V e di facile impiego anche per persone con uno skill più facilmente reperibile sul mercato. La sfida, conclude Ridi, è quella di “tramutare l’approccio tradizionale in un processo automatico e Rulex sta contribuendo con soluzioni sempre più facili da utilizzare, che risultano efficaci anche per professionalità dotate di competenze di base nell’ambito di queste tematiche”.