La lotta al crimine potrebbe avere un nuovo alleato: la Banca dati nazionale del Dna. Potrebbe. Si tratta di una questione aperta da dieci anni, la certezza non si può avere. Ma almeno negli ultimi giorni un segnale è stato dato. È partita infatti la campagna istituzionale per pubblicizzare e promuovere l’avvio della Banca dati.
Risale al lontano 2005 il Trattato di Prüm, con il quale i Paesi dell’Unione si sono accordati sulla raccolta del Dna di soggetti pericolosi. Tra essi, anche l’Italia. Da qui, quattro anni di silenzio e di inefficienza. Siamo giunti al 2009. L’intesa finalmente diventa legge: al Ministero dell’Interno è affidata la gestione della banca dati, a quello della Giustizia, attraverso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il compito di dare vita al Laboratorio nazionale del Dna. Laboratorio che prende forma solo agli inizi dello scorso anno, nel 2013. Nel frattempo, precisamente il 2 ottobre 2010, viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo che prevede l’istituzione dei “ruoli tecnici del personale del Corpo di polizia penitenziaria”: operatori, revisori, periti e direttori. Sono necessarie 37 persone, 37 esperti. Ancora oggi, 37 incognite.
Come detto, nei primi mesi del 2013 il Laboratorio era pronto, realizzato in un vecchio capannone all’interno del polo di Rebibbia. Il costo complessivo è stato di 16 milioni di euro, investimento reso vano dall’attuale assenza di personale.
Nell’ottobre scorso il sottosegretario Giuseppe Berretta ha dichiarato: “Il governo si sta impegnando attivamente per compiere quanto ancora necessario per dare effettiva attuazione alla legge”.
Ora sembra che finalmente sia il momento buono per compiere il passo deciso verso questa importante evoluzione nella lotta contro il crimine. Burocraticamente abbiamo già temporeggiato troppo, come sempre.