Internet è completamente sotto il controllo dello Stato. Questa è la situazione in Turchia, dove negli ultimi giorni è stato approvato un pacchetto di norme sostenute dal governo di Recep Taiyyp Erdogan. In particolare, l’autorità governativa per le telecomunicazioni (Tib) potrà ora bloccare siti web che diffondano contenuti ritenuti tali da violare la vita privata delle persone e informazioni giudicate “discriminatorie o calunniose”, il tutto anche senza un provvedimento della magistratura. Non solo. Il Tib potrà risalire ai siti visitati da ciascun internauta. Dati che le autorità potranno poi tenere archiviati fino a due anni, anche in assenza di procedimenti giudiziari.
Gli oppositori ora gridano allo scandalo: tale provvedimento, a detta loro, sarebbe stato preso per frenare la circolazione delle notizie e dei sospetti sulla “Tangentopoli turca”. Proprio negli ultimi giorni, ad esempio, è finita in rete una telefonata fatta in giugno, durante le proteste di Gezi Park, da Erdogan al direttore di una tv turca, durante la quale il premier ‘ordinava’ di togliere una notizia dalla circolazione. Se non fosse stato per il web questa conversazione sarebbe rimasta celata.
Il partito di Erdogan (Akp), invece, ha difeso l’iniziativa facendola passare come una forma di tutela nei confronti della privacy dei cittadini.
Purtroppo, statistiche alla mano, non c’è da stupirsi. Secondo il Comitato internazionale per la Protezione dei Giornalisti (Cpj), infatti, la Turchia è il Paese con il maggior numero di cronisti in carcere al mondo, davanti alla Cina. Per quanto concerne la libertà di stampa Ankara è al 154esimo posto su 179. Quest’ultima notizia non fa altro che aumentare le preoccupazioni per la “libertà” – nel senso più esteso del termine – turca.