La crisi economica non è un alibi plausibile per non investire nella sicurezza informatica: 9 miliardi di dollari è la cifra che, negli ultimi 12 mesi le aziende italiane hanno perso a causa di una fuga di dati sensibili. Aggiungendo le perdite derivanti dall’interruzione del funzionamento dei sistemi informatici, si arriva a 14 miliardi.
Sono solo alcuni dei numeri che emergono dalla ricerca EMC Global Data Protection Index, condotta da Vanson Bourne, che ha intervistato 3.300 decision maker IT di medie e grandi aziende di 24 Paesi. Solo il 13% di loro è al passo con i tempi, in materia di protezione dati, mentre il dato italiano scende al 10%.
Percentuali così basse non indicano che il resto degli intervistati non abbia problemi di sicurezza, anzi: nell’ultimo anno l’80% delle aziende ha registrato un blocco di sistema o una perdita di dati; le imprese italiane colpite da simili incidenti sono state il 44%. Un problema che ha condotto nel 38% dei casi a un decremento di produttività, nel 22% a una diminuzione del fatturato e nel 36% al ritardo nello sviluppo di un prodotto.
La fiducia dei professionisti non è tanta: il 79% degli italiani pensa di non essere in grado di recuperare le informazioni dopo un simile incidente. A livello mondiale, la protezione dati investe settori in rapida crescita come big data, cloud e mobile, ma ci sono ancora margini di crescita. Il 51% delle aziende, infatti, non possiede ancora un piano di disaster recovery per nessuno dei tre ambienti, mentre solo il 6% è protetto su tutti i fronti. Il 62% degli intervistati ha indicato questi ambienti come difficili da proteggere, preoccupazione grave se pensiamo che il cloud è sempre più usato come piattaforma storage.
Il Paese più all’avanguardia in questo contesto è la Cina, con il 30% delle aziende impegnata con varie soluzioni di protezione dati. Gli Emirati Arabi Uniti sono quello più arretrato (0%). La tendenza dominante è quella che vede le aziende più grandi (oltre 5 mila dipendenti) essere mediamente più protette: il 24% di loro lo è, rispetto al 12% delle con meno di 500 dipendenti. Al di fuori dell’area Asia-Pacifico-Giappone, le imprese di Stati Uniti e Olanda sono le più sensibili al tema.